TITOLO
È decisamente onomatopeico.
"Amò" è la allocuzione affettiva che più si ascolta evacuare dalle labbra delle generazioni attuali; e non mi riferisco solo ai più giovani. Ha inesorabilmente sostituito il "cioè" adolescenziale di un paio di generazioni addietro. E persino i lemmi "solidale" e "resilienza", infilati in ogni discorso da sedicenti pseudointellettuali e da casalinghe teledipendenti.
"Dimà" è invece la contrazione fonetica (anzi foniatrica) della frase conseguente: "di mamma". È una conseguente estensione al linguaggio parlato della irreversibile consuetudine alla grafologia whatsapp: quella per cui ogni " perchè " deve obbligatoriamente diventare un criptico " xk' ".
Va precisato che l'impiego della frase "...amò dimà..." (quindi "Amore di mamma") è ormai prerogativa anche di nonne, zie, cugine, amichedelcuore e affini della reale madre. E che è estensibile anche a cani, gatti, criceti, pappagalli ed altre specie viventi.
Gli "(altri imprevisti)" non vanno spiegati; ma letti ed ascoltati.
SINOSSI
Una mamma (non decisamente attempata, ma sicuramente non giovane) porta al parco la figlioletta di tre mesi nella sua carrozzella.
Si accomoda su una panchina e, discorrendo con una donna a sua volta seduta sulla panchina di fronte, imbastisce un monologo incentrato sulla sua vita.
Il suo racconto verrà frequentemente interrotto dall’arrivo di telefonate, che la richiamano ad una realtà grottesca. Della quale si intende pertanto fornire una rappresentazione satirica.
Il testo è condotto sul filo della ironia (a tratti amara) e della satira sociale.
Con un finale volutamente surreale, da Teatro dell’Assurdo, inserito a stigmatizzare quella assoluta distonia vigente tra realtà effettiva e realtà virtuale che ormai caratterizza i rapporti interpersonali ad ogni livello.
Si accomoda su una panchina e, discorrendo con una donna a sua volta seduta sulla panchina di fronte, imbastisce un monologo incentrato sulla sua vita.
Il suo racconto verrà frequentemente interrotto dall’arrivo di telefonate, che la richiamano ad una realtà grottesca. Della quale si intende pertanto fornire una rappresentazione satirica.
Il testo è condotto sul filo della ironia (a tratti amara) e della satira sociale.
Con un finale volutamente surreale, da Teatro dell’Assurdo, inserito a stigmatizzare quella assoluta distonia vigente tra realtà effettiva e realtà virtuale che ormai caratterizza i rapporti interpersonali ad ogni livello.
IL PERSONAGGIO
La protagonista è una donna adulta, che manifesta tutte le stigmate più caratterizzanti dell’età.
Per quanto sufficientemente disincantata dalle vicende occorse nella
sua vita, è in realtà assai più ingenua di quanto il suo aspetto maturo ed ammaliante
lascerebbe presumere; comunque dotata di una cultura letteraria che tende ad
esternare mai per autoreferenzialità, ma piuttosto per confortare se stessa con
un pizzico di autostima. E che comunque le consente di assumere un
atteggiamento disincantato e sarcastico nei confronti della realtà che la
circonda.
Ha vissuto, subendone le conseguenze, le proprie
esperienze di vita con un candore del tutto inadeguato a difenderla dalle
insidie e dalle cattiverie che l’hanno sempre colpita. A cominciare dalla
indifferenza della famiglia di origine, sino al bullismo delle amiche; così
come il dovere pagare dazio della propria bellezza ad un universo maschile
gretto ed egoista, risultando a quest’ultimo esclusivamente e null’altro che un
oggetto di desiderio erotico.
Ciò nonostante, non lesina di approcciarsi a chi
incontra con disponibilità e rispetto, indifferentemente dalla qualità e dalle
intenzioni dei suoi interlocutori.
La recente maternità potrebbe finalmente donarle una
dignità umana e di donna mai sperimentata prima. Ma non è detto che vada
proprio così.
TESTO
SIPARIO.
TEATRO COMPLETAMENTE BUIO.
VOCE FUORI CAMPO (PREFERIBILMENTE MASCHILE).
[ Lentamente con dizione marcatamente professionale, come fosse un annuncio aeroportuale o la lettura di informazioni sanitarie ].
Buonasera e benvenuti a Teatro.
Per doverosa e necessaria informazione, si avvisa il gentile pubblico che questo spettacolo potrebbe contenere tracce di Satira.
La Direzione declina ogni responsabilità in caso di comparsa di effetti collaterali.
Buona visione.
[ Ora sguaiatamente, con inflessione marcatamente dialettale ]
E adesso… vedete di silenziare i telefonini.
Che già ci sta quello dell’attrice a farci venire il nervoso... Meh !
SI ACCENDONO LE LUCI.
ENTRA LA PROTAGONISTA, SPINGENDO UNA CARROZZINA.
SPORGENDOSI RIVOLTA AL SUO INTERNO GUARDA E VEZZEGGIA CON VERSETTI E FRASI DI CIRCOSTANZA IL BAMBINO CHE VI È COLLOCATO.
GIUNTA IN PROSSIMITA’ DELLA PANCHINA VERSO CUI È DIRETTA SI FERMA ALL’IMPROVVISO, SOLLEVA UN PIEDE E GUARDA LA SUOLA DELLA SCARPA.
[ Esclama con voce irritata ]
E che ca… !
[ Solleva lo sguardo rendendosi conto di non essere sola; quindi parla rivolgendosi a qualcuno davanti a sé. ]
…spita !
Buongiorno signora.
O signorina… non so.
No… è che… mi dovete scusare se ho gastemato… scusate, volevo dire… “imprecato”.
Ma proprio non se ne può più.
È che in questa città non si può camminare tranquilli, senza arrivare a mettere il piede sopra una… sì, insomma… quella dei cani.
Che la gente se li porta in giro a pascolare… e poi non pulisce i bisogni che lasciano sui marciapiedi.
E noi ci mettiamo i piedi sopra.
E poi… e che diamine, pure qua… al parco… con tutte le zone di prato che stanno, proprio in mezzo al vialetto gliela dovevano far fare.
Che dice ? Ah… è capitato anche a voi.
Va bene, ma mica è una cosa normale… e dai.
[ Sorridendo confidenzialmente ]
Che poi… vi devo confessare una cosa.
Ogni volta che ne pesto una… oh, mi viene una soddisfazione che non potete immaginare.
Come mai… dite ?
Perché quando la vedo mi ricordo del padre di questa creatura.
Eh sì.
Com’è che disse Shakespeare ? “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”.
Meh… quello è fatto della stessa sostanza che lasciano i cani sul marciapiede.
[ Ride ]
Sapete… qualche volta lo faccio proprio di proposito.
Appena è passato un cane e vedo che l’ha lasciata... mi ricordo di lui e… zac… la vado a schiacciare con il piede.
E la soddisfazione che me ne viene è assai…: tanta, tanta, tanta.
Ah, ridete pure voi…?
E sì… avete ragione.
È meglio che la prendo a ridere, che se ci penso troppo seriamente ci rimetto la salute.
Come…?
No. No, signora.
Lui non si può offendere. Perché non esiste più.
No… che avete capito… mica è morto. Magari !
Campa, campa… campa ancora.
Sta a casa sua, con la moglie e tre figli.
[ Ride di gusto ]
No, no… davvero.
Non ci soffro più di tanto. Per niente proprio.
All’inizio, magari un po’ ci soffrivo… è normale.
Ma adesso non più.
Uno così è meglio non averlo tra i piedi né in casa, e nemmeno fuori.
E dico di più… uno così è meglio che non si ritrova a fare il padre di questa figlia mia.
Me la avrebbe rovinata. Come sta rovinando la famiglia sua.
[ Guardando all’interno della carrozzina, con tono vezzeggiante ]
Invece noi due stiamo proprio bene da soli, vero piccolina ?
E se quello si avvicina… zac… lo schiacciamo con il piede.
Ad uso di quella dei cani.
[ Ride ancora ]
*SQUILLO DELLO SMARTPHONE*.
[ Ci mette un po’ a tirare fuori dal borsone lo smartphone, eseguendo movimenti goffi. Dalla borsa viene fuori di tutto: fazzolettini, rossetti, assorbenti, agendine, pannolini, biberon… Quando finalmente riesce a prendere il telefono tra le mani guarda il display ]
Numero privato… ? E chi è questo… mò.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Scusatemi un attimo… Fatemi capire di chi si tratta.
Che ho mandato in giro il curriculum dovunque…. e magari stamattina esce qualcosa.
[ Risponde al telefono ]
Sì… pronto.
Come ? Ah, è la Segreteria della Scuola Paritaria “Beata Consilia delle Olivetane Taggiasche”.
Buongiorno.
Sì, sono io. Ditemi.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Ha detto di restare in linea, che mi passa la Direttrice.
Mah ! Non capisco cosa vogliano.
[ Riprende a rispondere al telefono ]
Sì… eccomi.
Buongiorno anche a voi.
Sì… sì, sono io. Mi dica tutto.
Come dice…quando mi decido a passare per fare l’iscrizione ?
Non capisco di cosa stia parlando… suor… suor… come ha detto che si chiama ? Ah, ecco: suor Dinaria.
Non è che mi state chiamando per la domanda di supplenza che vi ho mandato... e vi state confondendo…?
No, no. State calma. Non volevo mettere in dubbio… ma ci mancherebbe altro…
È che poteva anche essere…
Ah no, eh ?... Non è per quello che mi state chiamando.
Peccato…che vi devo dire.
Ho capito… è soltanto per la iscrizione che mi state chiamando.
Però… dicevo… con tutto il rispetto…detto con calma... che non vorrei che vi inquietate di nuovo… e poi vi sentite male… che forse state sbagliando persona.
Io non ho nessuna iscrizione da fare.
Mia figlia…? Lei devo iscrivere a suola ? Ma ha solo tre mesi !
Cosa…? È già tardi ?
Scusate… in che senso “è già tardi”…?
Cioè… dite che la gente iscrive a scuola i figli già dopo la prima ecografia…?
Veramente state a dire…?
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
E un’altra volta questa si incaz… si inquieta.
[ Riprende a rispondere al telefono ]
No, suora.
Non volevo mettere in dubbio… ma ci mancherebbe altro…
Se lo dite voi ci credo. Ci credo.
A questo punto… che vi devo dire, sorella Direttrice… tra un paio di giorni passo da voi a scuola e iscrivo la piccola.
Ah… dalla Scuola dell’Infanzia in poi starà sempre da voi…fino all’ultimo anno di Scuola Superiore...
Sempre lì deve stare !
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Praticamente il 41 bis !
[ Riprende a rispondere al telefono ]
Va bene. D’accordo.
Quell’altro dev’essere tutto… !
Sorella, però, adesso toglietemi una curiosità: com’è che mi avete contattato ?
Ah, il numero ve l’ha dato la Clinica dove sono andata a partorire. Ora ho capito.
Cioè… lo fanno in automatico.
Appena un bambino nasce… il tempo di portarlo dalla sala parto al nido… quelli, zac, mandano a voi il numero di cellulare della madre.
Che sorta di organizzazione !
Come dite…? Ah, così è il progresso.
Per carità… e chi dice niente…
Se è così che deve andare… che vada così.
Che altro dite, sorella Direttrice…?
Ah, che quando vengo… devo portare documento di identità, codice fiscale e soprattutto la Carta di Credito ? Ora me lo segno.
A proposito: anche l’ISEE devo portare...? Ah, no. Quello no. Quello non serve perché si paga tutto in ogni caso.
E va bene… come dite voi.
No, non vi preoccupate proprio… porterò tutto.
Non me lo scordo.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Impossibile dimenticarsi.
Basta ricordarsi come si chiama, la sorella Direttrice.
[Facendo il gesto del denaro sfregando tra loro indice e pollice della mano con tono ironico]
Suor Dinaria.
Un nome.
Un destino.
Una missione divina.
[Riprende a rispondere al telefono]
No, no. Non è a voi, sorella.
Stavo parlando con una amica che sta qua di fronte a me.
Allora, restiamo d’accordo così. Vengo, pago, iscrivo.
E mi tolgo il pensiero. Per i prossimi quindici anni.
Meh, arrivederci ora.
E grazie per la telefonata.
Sì… sì. A presto.
Buona giornata.
A proposito…già che state… salutatemi tutte le vostre sorelle.
Sì, sì: quelle della Scuola, quelle del convento e tutte quelle che volete voi.
E le centraliniste della Clinica.
[ Chiude il telefono, praticamente sbattendolo ]
E pure tutta la razza vostra.
E che ca… !
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Avete sentito…?
Questa stellina mia non ha ancora spento la prima candelina e già la devo iscrivere a scuola.
Alle cape di pezza, poi.
Cosa dite… ? Se ci andrò veramente ?
Non lo so. Non credo.
Io, per adesso ho detto così, per prendere tempo. Poi si vedrà.
Di cosa stavamo parlando prima ?
Ah, …del padre.
Come è andata la storia…?
Cosa volete che vi dica.
È andata come di solito vanno queste faccende.
Il fatto è che… io… vedete come sono fatta…
[ Si alza e mostra le fattezze del proprio corpo girando su se stessa come una modella, quindi si risiede sulla panchina ]
Insomma… non sono male, no ?
Non un dico che sono una top-model… però… oh, guardate che roba… mica è da tutte… no ?
E ho pure partorito.
[dopo avere ascoltato la risposta dell’interlocutrice ]
Grazie… Davvero grazie del complimento.
Meh… ora non esagerate però…
Il fatto è che, come vi dicevo, essere… così… dicevo… essere così… come sono io… ha i suoi svantaggi.
E pure voi lo sapete… che anche voi siete una bella donna. Che quando una si porta in giro un corpo così… beh, non ci si può nemmeno avvicinare ad un uomo… che quello pensa solo ad una cosa…
E, se proprio ve la devo dire tutta, a me succede pure con qualche donna.
Come vi stavo dicendo, essere così… come sono io… e pure come siete voi… non è una fortuna: è una condanna.
Avete mai sentito quella frase che dice:
“Se non puoi mostrare le tette, sei condannata a mostrare il cervello ?”
Meh… a me la storia gira al contrario.
[ Sporgendolo e sollevandolo con le mani mette in evidenza il seno ]
Queste… ci stanno. Eccome.
È il cervello, invece, che mi ha sempre fatto difetto.
Così mi hanno sempre detto tutti, sin da quando ero piccola: gli amici, i compagni di scuola, le maestre, la signorina del catechismo, la capopattuglia degli scout.
E pure a casa… anzi, soprattutto a casa mia me lo dicevano continuamente.
[ Con espressione trasognata, guarda verso l’alto ]
Quanti ricordi…
Mi viene in mente quando la sera, dopo la cena, ci trovavamo tutti insieme a vedere la televisione.
Io ero la piccolina di casa.
E quando tutti si accomodavano sul divano, io mi sedevo lì… sul tappeto… ai loro piedi.
E per tutta la serata io aspettavo solo quel momento… quello in cui si accorgevano di me… in cui si rendevano conto che c’ero anch’io… insieme a loro.
Era quando dopo una intera giornata in cui ognuno aveva badato alle proprie cose senza mai accorgersi della mia presenza in quella casa… qualcuno mi diceva affettuosamente:
“La sceeema… ti alzi a cambiare il canale ?”
Che… mica esisteva il telecomando: ero io che lo facevo.
E non mi dovevano nemmeno cambiare le pile.
[ Guardando di nuovo davanti a sé, con un pizzico di commozione ]
No, signora. Non ridete.
Anche se mi chiamavano così… “la sceeema” … quel momento era importante per me. Tanto.
Perché era l’unico di tutta la giornata in cui mi rendevo conto che anch’io avevo i genitori e i fratellini. Come tutti gli altri.
E quel piccolo momento me lo facevo bastare. Ero felice così.
[ Tornando sardonica ]
Anche perché, quando poi comprammo il televisore a colori con il telecomando, nemmeno quello mi dissero più.
Come dite…? Ribellarmi.
No, no. Non era per me. Non ero capace.
Però… una volta… ve lo devo raccontare… avevo più o meno sedici anni… me ne scappai di casa.
Così, tanto per fare una cosa nuova… una volta ogni tanto.
Era pure estate, per cui non avevo nemmeno il problema di andare a scuola la mattina.
Solo che dopo qualche giorno che me ne andavo in giro tutta sola mi ero scocciata.
E tornai a casa.
Entrai tutta felice nella mia stanzetta... e dentro ci stavano due ragazze grandi.
I miei genitori avevano affittato la mia stanza agli studenti.
Che noi… abitavamo vicino al Policlinico; e le richieste erano assai.
E così da quel giorno, me ne dovetti andare a dormire sul divano del soggiorno. E non me ne scappai più da casa: ancora si affittavano pure quello.
Tornando a prima, al padre di questa creatura… che vi devo dire… è andata che per una volta nella mia vita mi ero convinta di avere incontrato una persona che… non dico che mi volesse bene… ma almeno che sembrava apprezzarmi per quel che sono e non solo per come sono fatta.
Uno che non mi aveva mai chiamata “La scèeema…” come facevano gli altri.
Ci avevo creduto veramente.
E ci ho fatto una figlia.
Tutto qui. Non c’è poi tanto altro da dire.
È una storia banale.
Quando glielo dissi… sì, insomma… che ero in attesa… solo allora mi confidò di avere già una famiglia.
E che non aveva nessuna intenzione di dedicarsi anche ad un’altra.
Poi mi disse che non ci dovevamo più vedere e che non lo dovevo mai cercare.
Riguardo alla gravidanza, poi, di fare quello che volevo. A lui non interessava.
Ed io, allora, decisi di portarla avanti. E di crescermi questa creatura da sola.
Tanto… sola sono sempre stata da quando sono nata.
Anzi, finalmente qualcuno mi avrebbe fatto compagnia.
Ed ora sto qui. Ai giardinetti. A spingere il carrozzino con lei dentro.
E a parlare con voi.
*SQUILLO DELLO SMARTPHONE*.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Scusate ancora. Fatemi rispondere.
[ Risponde al telefono ]
Sì… pronto.
Con chi parlo ? Ha detto… Dottoressa…?
Sì, sì, ho capito.
Buongiorno. Cosa posso fare per voi ?
Ah, voi siete la Pediatra di Libera Scelta.
Chiamate per mia figlia. Bene.
Solo che… scusatemi… non mi ricordo proprio di avervi scelta.
In che senso… scusi…
Ah, ecco. È la ASL che l’ha scelta come mia Pediatra di Libera Scelta. Anche se io non vi ho scelta.
No… no. Per carità, non sto dicendo niente. Mi sta bene così.
Tanto, prima o poi, io la dovevo scegliere… la pediatra di Libera Scelta.
Ma se la ASL ha fatto la scelta di scegliere voi come mia Pediatra di Libera Scelta.. anche se io non vi ho scelta… che vi devo dire… mi pare una buona scelta.
Che poi… uno… uno… vi doveva scegliere: o vi sceglievo io o vi sceglieva la ASL.
Ma ora che vi sto sentendo, sono proprio contenta.
Come di che cosa: della scelta che ho fatto...
[ Ironicamente ]
… io !
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé, con tono implorante]
Madò… ! Non ci sto capendo più niente.
[Riprende a rispondere al telefono]
No, no. Non è a voi, dottoressa.
Stavo parlando con una amica che sta qua di fronte a me.
A proposito. Per carità, giusto per una curiosità mia personale… ma a voi il mio numero chi ve l’ha dato ?
Ah, la ASL.
E loro da chi…?
Ah, embè… figurati…
La ASL il numero l’ha avuto dalla Clinica dove sono andata a partorire.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé con tono ironico ]
Signora cara, mi dispiace per voi.
Ma… mi pare mi pare… che siete l’unica persona in Europa che non ha avuto il mio numero di cellulare dalla Clinica dove sono andata a partorire.
Meh, non vi preoccupate: prima che ci salutiamo ve lo dò io. Che mi dispiace… che soltanto voi non ce lo dovete avere.
[ Riprende a rispondere al telefono ]
Dottoressa, eccomi. Sono ancora qui.
E… mi dica mi dica… cosa posso fare per voi, ora che siete la mia-Pediatra-di-Libera-Scelta-pure-se-io-non-vi-ho-scelta ?
Ah, bisogna fare la prima visita alla bambina.
Meh, e sì. Mi pare giusto.
Va bene, d’accordo. Ditemi dove si trova il vostro studio e quando posso venire… ed io ve la porto.
Come dice…? Che non se ne parla proprio…?
In che senso…? Ah, che voi non ricevete in studio ?
È dal periodo del lockdown che lo tenete chiuso ?
Chissà la polvere che sta accumulata…
Oh, se volete un mano a pulire, quando lo riaprite…
A voi non l’ho mandato il curriculum; ma se vi serve qualcuna che…
Come dice… grazie, ma non se ne parla per ora di riaprirlo ? Che costa assai di riscaldamento e luce…?
Beh, effettivamente non vi posso dare tutti i torti.
E allora… che vi devo dire… vi aspetto a casa mia.
Come sarebbe a dire, in che senso… A domicilio: da me.
Come dice…?
Meh, dottoressa… non mi sembra il caso che “menate ad offendere”…
Come sarebbe che non ho capito niente, scusi ?
Un attimo. Fatemi fare mente locale.
Ricapitolando.
Voi prima mi avete detto che non ricevete nel vostro studio. E va bene.
Ora mi dite che non fate mai visite a domicilio. E va bene pure questo.
Dopo di che… ho sentito benissimo… mi date della scema…
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Oh, pure questa lo dice.
Non è che era una delle studentesse che avevano affittato la stanza mia e sentiva come mi chiamavano a casa ?
[ Riprende a rispondere al telefono ]
E questo che avete detto non è bello, scusatemi.
Studio no… domicilio no... mi dite come e quando dovete visitare la bambina ?
Eh…? Adesso… ?
La visita la fate adesso…?
E come…
Con la videochiamata ?
Ma voi… veramente dite… ?
Cioè… è così che si fanno le visite dopo il COVID ?
Ma sono anni che è finito !
Non ne parla più nessuno. Non è più nemmeno di moda
I dottori… quelli come voi… che stavano tutti i giorni alla televisione a dire quello che dovevamo fare… meh, lo sapete che adesso stanno disoccupati ?
Dice che… vanno a mangiare alla Caritas.
Ah, voi dite non è vero che è la pandemia è finita ?
E come…
Ah, ecco: a voi lo ha detto la ASL… che lo ha saputo dall’Assessore… che glielo ha detto il Presidente della Regione.
Meh, se lo ha detto la ASL… io alzo le mani.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé, ironicamente ]
Loro sanno quello che dicono.
Eccome se lo sanno !
[ Riprende a rispondere al telefono ]
E va bene, d’accordo. Facciamo questa visita ora.
Cosa devo fare…?
Beh, avete ragione: è giusto. Per fare la videochiamata, prima devo accendere la telecamera.
[Armeggia con lo smartphone per avviare la camera; pertanto si accende la lucina della torcia posteriore, che verrà disattivata al termine della videochiamata. Quindi, guardando sul display come se vedesse la immagine della dottoressa…]
Fatto.
Hi…. vi vedo bene, dottoressa.
Che piacere… così ci conosciamo di persona.
Che bella donna, siete.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé, sussurrando con tono disgustato ]
Madò, che cesso di femmina !
Con questa faccia i bambini li terrorizza, altro che.
Giusto ad Halloween può fare qualche visita di persona… che i bambini pensano che sta mascherata.
[ Ironicamente ]
Un cesso di Libera Scelta !
[ Riprende a guardare il display ]
Dottoressa, eccomi.
Che bella cucina che ha.
E, dica… dica… che sta sul fornello ?
Ah… gnocchetti di farina di grillo e farro in brodino vegetale di germogli di soia.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé, sussurrando con tono disgustato ]
Madò, che schifo…
Dove l’ha trovata sta ricetta… a Mastercess ?
[ Riprende a guardare il display, fingendo approvazione ]
Buona, dottoressa.
E soprattutto… tanto tanto salutare.
Brava.
Oh, dottoressa… come è che non la vedo più ?
Ah, ecco. Ora che avete spostato la telecamera vi vedo di nuovo.
Ma che fate lì stesa per terra?
Cos’è… non vi sentite bene ?
Come ?
Ah, ecco. Voi avete pensato bene che… mentre fate la visita alla bambina…
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé, ironicamente ]
… perché nel frattempo lei sta visitando la bambina, giustamente…
[ Riprende a guardare il display ]
Dicevate… che mentre fate la visita alla bambina, per occupare il tempo vi fate anche un poco di Yoga.
Lì, sul futon. Giusto qualche esercizio.
Ma no… niente affatto. Niente in contrario. Fate pure, ci mancherebbe altro. È importante occupare il tempo.
Come è che dicono che siamo noi donne…? Ah, sì: multitasking. Cioè… che facciamo tante cose contemporaneamente.
[ Ironicamente ]
Figuratevi che io mentre guido mi do lo smalto alle unghie dei piedi. Così, per risparmiare tempo.
Come dite…?
Sì, sì. Avete ragione. Non perdiamo tempo. Che per voi è prezioso.
Facciamo questa visita e non se ne parli più.
A disposizione. Cominciamo quando volete.
Come…? Quanto è lunga ?
E se non lo sapete voi…
Che ne so quanto dura… io visite con la video chiamata non ne ho mai fatte.
Ah… non la visita. La bambina… quanto è lunga.
Più o meno mezzo metro. Cinquantacinque centimetri, diciamo.
Quanto pesa ? Come dice… vuole sapere a vuoto e a pieno carico ?
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé, ironicamente ]
Sta facendo la visita alla lavatrice della sorella.
[ Riprende a guardare il display ]
Sei chili pesa.
Un sei chili e mezzo quando sta piena.
Come va di corpo ?
Benissimo. Né sciolta, né dura.
Regolarissima: mattina e sera. Ci potete regolare l’orologio.
Le colichette ?
Beh, all’inizio le aveva. E come piangeva, povera stellina.
Da un po’ di tempo, invece, ha imparato a tirare fuori l’aria tutto in un colpo. E non soffre più.
Anzi, si diverte: dopo ogni ruttino si fa una mezza risatina. Sta già pronta per i primi Peroncini al Ciringuito.
Come dice…?
Se ho già “tolto il latte” ?
[ Ironicamente ]
Certamente che l’ho “tolto”.
Ieri ha mangiato riso, patate e cozze.
E per oggi, ho pensato di fare gli spaghetti all’assassina per tutte e due.
Come dice...? E dai, dottoressa… e non si inca… arrabbi.
Una battuta volevo fare.
Sì, prometto. Non ne faccio più.
Seriamente, adesso. Da mò vale.
Dicevamo… ah sì, ecco.
Continuo ad allattarla: il mio e quello della farmacia.
Inizierò a svezzarla soltanto dopo che me lo dite voi.
Va bene così ? Grazie.
Come dite…?
Ah, ora passiamo alla visita vera e propria.
Che devo fare ?
Ho capito, ho capito… seguo a voi.
Sì, d’accordo. Ora inquadro la piccola.
[ Armeggia con lo smartphone per commutare la visuale della telecamera. La lucina della torcia posteriore è accesa. Si alza e si avvicina alla carrozzina. Sempre guardando il display punta la camera in direzione del suo ’interno. Con una mano reggerà lo smartphone, mentre con l’altra eseguirà le azioni che le verranno indicate. ]
Ecco fatto. Che faccio, ora?
Sì. Apro la boccuccia ed inquadro l’interno delle guanciotte.
Prima una. Ecco fatto.
Poi l’altra. Fatto.
È riuscita a vedere bene ? Sì…?
Perfetto.
Ora…?
Piego il braccino sul gomito.
Piano piano.
Prima il destro. Ecco fatto. Lascio ora ?Fatto.
Ora l’altro. Mollo ? Fatto.
Come dice…? I R.O.T… ?
Ma no, non mi sembra… che si sia rotto qualcosa. Si muove normale. E non piange nemmeno.
Ah…! Erre-o-ti. ROT.
Vuol dire Riflessi Osteo Tendinei.
[ Ironicamente ]
E come li ha trovati ? Sta tutto bene ? Meh, meno male.
E adesso ? La stessa cosa alle gambine.
Bene. Lo faccio subito.
Ormai sono esperta.
Gambuccia destra. Ginocchio… piego… lascio… oplà.
Gambuccia sinistra. Ginocchio… piego… lascio… fatto.
[ Enfaticamente, con soddisfazione ]
Dottorè, anche qui i ROT stanno “tutt’appost” !
Come dice… non mi devo permettere di fare considerazioni ?
Il medico siete voi. E voi soltanto lo potete dire...?!
Va bene, va bene. Volevo solo collaborare.
D’accordo. Come dite voi. Non lo farò più.
Adesso che facciamo ?
Devo sollevare il tronco della bimba e metterla seduta. Fatto.
Visto come si mantiene bene ?
Adesso la faccio stendere di nuovo. Fatto.
E adesso che sta stesa… devo spingere con due dita sul pancino.
Prima sul lato sinistro, in alto. Fatto.
Poi in basso. Fatto.
Poi a destra: sopra… sotto… Fatto.
Come dice…? Se piange…?
No, per niente proprio.
E adesso ?
Ah, abbiamo finito.
Quindi, dite che sta tutto a posto. La bambina sta bene.
Meh, sono contenta.
Il prossimo controllo tra un mese ?
[ Sardonicamente, come se dovesse annunciare la partecipazione ad una impresa epica ]
Non vedo l’ora.
Conterò i giorni, i minuti, i secondi, i miei stessi sospiri sino a quel momento.
[ Spegne la lucina della torcia dello smartphone, soffiandoci sopra mentre clicca sul pulsante come se si trattasse di una pistola fumante in un film western. ]
Come dice…? Ora dobbiamo chiudere. D’accordo.
Mi ha fatto piacere conoscervi dottoressa.
Meh… buon pranzo, buono Yoga, buona giornata, …buon tutto insomma.
[ Ironicamente ]
E soprattutto grazie. Grazie. Grazie.
Grazie per la visita. Così approfondita, minuziosa, professionale.
E… dottoré…
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
…mi sa che ha chiuso.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Avete sentito pure voi…?
Cose da matti...
Non bastavano le diagnosi su whatsapp, ora abbiamo pure la visita medica in videochiamata.
Nulla può più stupirci, ormai. Ma proprio niente.
Com'è che diceva Amleto ?
[ con enfasi attoriale ]
"Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia".
E stava in Danimarca... mica aveva avuto a che fare con la Regione...
[ ride ]
Come dite ?
Come so tutte queste cose ?
E che volete... come vi ho raccontato prima, a casa non mi consideravano. A scuola gli insegnanti nemmeno.
Le amiche non si accorgevano di me. E per i ragazzi ero giusto giusto… una bambola gonfiabile con cui passare un po’ di tempo…
[ manifestando un pizzico di pudore ]
Ed io che cosa dovevo fare... ?
Leggevo.
Di tutto. Continuamente.
Ecco come è che so tutte queste cose.
Che stavamo dicendo… ?
Ah, sì. La Pediatra… la ASL… la Sanità pubblica...
Se vi racconto come sono andate le cose a me con il parto, vi fate una cultura...
Ah, sì… volete saperlo ?
D’accordo. Ora vi racconto.
Dunque... quando era ormai sicuro che ero "uscita incinta" mi posi il problema di trovarmi l'ostetrica e il posto dove andare a partorire... giusto ?
Allora chiamai il call center del CUP per prenotare.
Fui fortunata, che mi risposero presto... dopo solo tre giorni... che una amica mia, invece, da quando fece il numero sino a quando risposero...si trovò a fare il cambio di stagione della biancheria.
Perché devo dire… la signorina che mi rispose fu onesta: subito mi disse che era solo per caso che mi aveva risposto... perché allo squillo aveva pensato che fosse la madre che voleva sapere cosa cucinare quel giorno.
E poi fu buona… perché disse che, oramai che stava,... poteva pure ascoltarmi.
Veramente una brava persona.
Io la ringraziai. E cominciai a dire...
[ mimando l'atto di parlare al telefono ]
... signorina, sto in attesa... no, che avete capito: non al telefono... sto in dolce attesa... incinta, insomma.
Come sarebbe a dire... "tanti auguri, ma mò che vuoi da qua..." ?
Ho chiamato per prenotare una visita ostetrica. Guardate quando è possibile...
Come… ? La prima data disponibile è tra un anno e mezzo...?
[ ironicamente ]
Beh, mi fa piacere. Magari ci vado con il bambino già fatto e cresciuto, così glielo presento pure all'ostetrica...
[ fingendo di parlare ad un ragazzino ]
Vedi dove ti ho portato, figlio mio ? Meh, non fare il maleducato... saluta la dottoressa...
Lei è quella che "ti doveva prendere"... ma siccome l'appuntamento era dopo un anno e mezzo, nel frattempo abbiamo fatto tutto da noi...
[ irritata ]
Eh, no... scusate. Non è che voglio fare la spiritosa... però voi mi dite un anno e mezzo...
Che la gravidanza nove mesi dura... anzi a me, può essere pure di meno... che soltanto mò me ne sono accorta.
[ cessa di mimare la telefonata e si rivolge alla interlocutrice ]
Sapete come finì la telefonata, cara signora ?
Che quella mi chiuse il telefono in faccia.
E... che vi devo dire... non fu più cazzo... scusate… non fu più cosa di riprendere la linea. Sempre occupata.
A quel punto… che dovevo fare… chiamai un amico che lavora alla Regione.
Come gli dissi che stavo incinta, quello la prima cosa che mi rispose fu
"Ehi, a te… che non sono stato io...".
E certo che non poteva essere stato lui… "polmone" com'era.
Gli chiesi aiuto per la prenotazione. Sempre uno della Regione era.
Al che mi disse di non perdere tempo.
Se volevo risolvere qualcosa… dovevo…
[ solleva un dito in direzione del cielo ]
…parlare direttamente con lui.
No... che cosa avete capito... non lui… Lui.
Ma Lui… l'altro: il Presidente della Regione.
E mi diede il numero di cellulare.
Io... mò... ero tutta esaltata di avere avuto il numero del Presidente della Regione. E lo ringraziai.
Al che, l'amico mio disse:
"La sceema..."
[ con espressione trasognata ]
…ed io pensai: madò, proprio come a casa...
[ riprendendo il racconto ]
"… ma secondo te io ti do quel numero ? Proprio a te ? Questo che ti ho dato è il numero dell'autista del Presidente. Tu lo chiami e lui ti dice dove si trova in quel momento con il Presidente.
A quel punto tu li raggiungi. Lui te lo fa incontrare. E tu gli dici che cosa ti serve..."
[ con espressione rassegnata ]
Che vi devo dire…
Tutto questo movimento… questo impiccio… non mi convinse per niente, signora cara.
Sì… secondo lui…, proprio così come diceva lui dovevo fare...
Ma quando mai.
A quel punto... visto che una cosa di soldi da parte me la trovavo... decisi di rivolgermi alla Sanità privata.
E andai lì, alla Clinica Santa... Santa... Santa... com'è che si chiama... meh, mò non mi ricordo... Santa qualcheccosa.
Credetemi... un ambiente da sogno...
Che devi fare una clinica svizzera... un albergo a cinque stelle pareva, altro che clinica.
E il personale... Le infermiere... le segretarie... i dottori...
Bellissimi. Tutti.
Lo dico veramente senza invidia.
Abbronzati, atletici. Sembravano tutti stranieri.
Soprattutto le ostetriche
Ecco… sembravano proprio brasiliane.
Ed effettivamente… poi lo seppi… venivano da San Paolo.
No, no… signora. Non San Paolo del Brasile.
Venivano tutte da San Paolo il quartiere di Bari. Quello vicino all'aeroporto.
Io me ne accorsi quasi subito che da là venivano: già il pomeriggio prima del parto.
Mi ero appena sistemata le cose mie in camera, quando sentì pronunciare distintamente il mio nome.
Una di quelle stupende ragazze di Ipanema stava lì, ferma al centro del lungo corridoio del reparto, con i pugni sui fianchi.
E urlava a pieni polmoni… con marcato accento sanpaulista:
[ facendo il verso, sguaiatamente ]
"Signora... [nome attrice]..., [,nome attrice ripetuto ancor più sguaiatamente]... vieni veloce, che dobbiamo fare il clisteeere...!"
Voi ridete, signora.
Ma quando uscii dalla stanza per andare a raggiungerla… madò, la vergogna… Tutte le altre ricoverate che mi guardavano e ridevano.
Mi sembrava come se stavo in quel corridoio di dentro a quel film... come si chiamava… ah, "Il miglio verde"... Io che camminavo lenta lenta, con la faccia rivolta a terra, come i condannati a morte.
Sì, voi ridete…
E non sapete il resto.
L'altra perla di saggezza “brasileira sanpaulista”… mi fu detta il giorno appresso.
Proprio mentre stavo partorendo.
Voi sapete… no?... com'è che vanno le cose in quel momento: ...e spingi ...e respira... e spingi ancora... e respira di nuovo... e continua a spingere...
Insomma… è come stare sul ring di un incontro di pugilato... Solo che le mazzate non ti arrivano in faccia... ma là sotto.
E invece dell'allenatore che si mette all'angolo e ti grida in testa quello che devi fare… c'è l'ostetrica che sta di fronte a te che stai con le gambe aperte… e ci abbaia dentro come una rottweiler.
Sono sicura che quella che capitò a me doveva essere... che dico, nemmeno di San Paolo, ma proprio di qualche favelas abbattuta della periferia di Rio de Janeiro...
Perché ad un certo punto, mentre io urlavo dal dolore come una pazza...
[ ironicamente ]
…si premurò di lenire la mia indicibile sofferenza con delle profonde e confortanti parole... che non dimenticherò mai:
[ facendo il verso, sguaiatamente ]
"E allòre, la scèeme… còme t'ha piaciùte u pprìme, mò fàtte piacè u ddòpe."
Devo tradurre...
[ con enfasi didascalica ]
" Così come hai ben gradito quanto messo in atto prima, è il caso che ti aggrada anche quanto stai vivendo ora".
[ riprende ironicamente ]
E che cos’era quella frase: un aforisma di antica filosofia socratica.
Fu in quel momento che ebbi, sia pure per un attimo, il sospetto che… forse forse… quelle ostetriche erano veramente brasiliane.
Perché solo nella jungla dell'Amazzonia se ne possono trovare così… !
*SQUILLO DELLO SMARTPHONE*
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Ancora...?
E non se ne può più oggi.
[ Risponde al telefono ]
Sì… chi è ? Buongiorno...
Sì, signora... mi dica.
Dite che avete avuto il mio numero da... aspetti, aspetti… non me lo dica. Glielo dico io: voi avete avuto il mio numero dalla Clinica dove ho partorito.
Ah, no ? Mi sono sbagliata...?
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé, ironicamente ]
Strano.
Mi sa che a questo punto la devo fare licenziare la segretaria della Clinica. Si sta ammosciando la ragazza.
[ Riprende a rispondere al telefono ]
Eccomi.
Dunque, avete avuto il numero dalla segreteria della Scuola Paritaria "Beata Consilia delle Olivetane Taggiasche". Ho capito.
E, dica, cosa posso fare per voi..
Autorizzarvi a inserirmi nel vostro gruppo whatsapp. Vabbè... come volete.. se proprio ci tenete...
Però... toglietemi una curiosità: di che gruppo si tratta ? Quello delle mamme della classe dove andrà mia figlia ?
E ci deve essere un errore, signora cara. Mia figlia ha solo tre mesi.
Come... il vostro ne ha otto... Anni...? No, che dice... proprio mesi ?
E anche i figli delle altre mamme...?
E già avete fatto il gruppo whatsapp ?
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé, sarcasticamente ]
No. Queste non sono normali.
Altro che il gruppo delle mamme: queste devono fare il gruppo delle pazienti di qualche consultorio psicologico.
Da uscire matti veramente.
[ Riprende a rispondere al telefono]
Scusate, signora. Permettete una domanda..?
Dunque... presupposto che la bambina... la mia... qui... prende ancora il latte...
...sì, sì ho capito: pure i figli vostri...
...e presupposto che non ho ancora nemmeno deciso se la iscrivo proprio a quella Scuola... come si chiama... "...delle olive in calce..."...
...e presupposto, ancora, che (ammesso che alla fine lo faccio) ad andare bene prima di due-tre anni la piccolina a quella scuola non si affaccia proprio...
... a questo punto la mia domanda scaturisce spontanea come acqua sorgiva limpida e fresca zampilla tumultuosa da una sorgente di montagna...
...da me... mò... voi... che caa… ppro andate cercando ?
Ah... volete sapere se intendo aderire con una quota al regalo di Natale per la maestra...
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Il regalo per Natale... da mò che stiamo a maggio...
[ Riprende a rispondere al telefono ]
E siamo sicuri che quando i nostri figli andranno a scuola la maestra sarà proprio quella ?
Ah, è sicuro. Hanno già fatto le classi. Da mò.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Già le hanno fatte.
[ Riprende a rispondere al telefono ]
E se nel frattempo in questi anni la maestra viene trasferita ?
Ah, nel caso possiamo pensare di regalare un set di valige. Ho capito.
E se esce incinta ? Ah, si converte il regalo in un set con fasciatoio, carrozzina e passeggino. Ho capito.
E se nel frattempo... ci lascia...?
Nel senso che se ne va... no, non trasferita... ma se se ne va proprio... lassù...?
No. Aspetti, aspetti. Questa la dico io.
Il regalo sarà un set comprensivo di corona, cuscino di fiori e... "tenda gnòre".
Signora, mò parliamo seriamente... datemi ascolto. Scrivete alle altre mamme sul gruppo whatsapp che non mi avete trovato.
Oppure che il numero che vi ha dato la segreteria della scuola... come si chiama... "...di ste cacchio di olive snocciolate..." era sbagliato.
O dite quel che cavolo volete voi.
Dopo di che... noi ci sentiamo tra qualche tempo.
Sì, sì... facciamo.. ehm… tra un paio d'anni. Ovviamente sempre che voi campate ancora...
Che... nel caso.. non vi preoccupate proprio: il set completo di corona, cuscino e "tenda gnòre" a voi…
…ve lo regalo io.
[ Chiude il telefono con veemenza, praticamente sbattendolo ]
E che cosa….!
*SQUILLO DELLO SMARTPHONE*.
DIVERSO DAI PRECEDENTI, PERCHÉ QUESTA VOLTA È QUELLO DELLA INTERLOCUTRICE.
[ Rivolgendosi alla interlocutrice dinanzi a sé ]
Ah, è il vostro adesso, signora…
Ma prego… ci mancherebbe altro... rispondete pure.
[Scrutando la interlocutrice impegnata nella chiamata di fatto segue la conversazione, assecondando mimicamente con espressioni del volto i passaggi della stessa. Appena la interlocutrice chiude la telefonata... ]
Tutto bene…?
Come dite…? Dovete andar via ?
Che peccato, ero così contenta di averla incontrata.
Ah, deve andare al lavoro. Beh, quando il dovere chiama…
Come dice... ? Se ho ascoltato la telefonata…?
[ Imbarazzata ]
Un pochino… appena appena.
Sinceramente, non ho capito granché.
Sì… questo sì: ho sentito che vi hanno dato un indirizzo. E ho capito che ora dovete andare lì.
Nient’altro, lo giuro. Parola di scout.
Come dite…? Era una persona importante al telefono ?
E non potete fare a meno di andare ?
Meh, che vi devo dire… buon per voi.
E poi… oh, il lavoro è lavoro. Viene prima di tutto.
Lo so, so… inutile che me lo dite: vi sarebbe piaciuto tanto restare a parlare qui con me… Pure a me, tanto.
E vabbè, pazienza… vorrà dire che ci vedremo qui un’altra volta, va bene ?
Scusate… non per impicciarmi dei fatti vostri… e se volete potete pure non rispondermi… ma per curiosità: voi che lavoro fate ?
Perché ridete…? No, sinceramente non l’ho capito dalla telefonata.
Fate… che cosa… la… escort ?
Ah, ecco. Ho capito. Siete della Polizia.
L’avevo pensato, ve lo giuro.
Avevo notato che siete così riservata…. Brava, brava.
E quindi… voi fate servizio nelle scorte.
E perché ridete… mò…?
Certo che ho sentito: dovete andare a casa della persona importante che vi ha chiamato.
Ho capito, ho capito: dove andare a fare la scorta a quello.
Come dite… ? Ah, non la scorta.
Dovete andare a fare che cosa… ?
Hi… ma voi veramente state a dire…?
Ma… scusate… voi siete delle Scorte o della Buoncostume…?
Come dite…?
[ Delusa, affranta, crolla sulla panchina e dirige lo sguardo in basso nel vuoto, triste ]
E no, dai… e pure voi… mi chiamate così…
[ Triste, quasi piangendo ]
…come a casa.
[ Rivolge nuovamente lo sguardo dinanzi a sé e saluta timidamente con una mano, guardando allontanarsi la sua interlocutrice. ]
Meh, arrivederci...
SQUILLO DELLO SMARTPHONE.
E chi è mò...?
[ Risponde ]
Sì… chi parla ?
Che dici…? Ti sei scocciata… hai fame… e sei stanca… ? E… quindi ?
Ah, ce ne dobbiamo andare. Mò proprio.
E va bene. Fammi rimettere a posto le cose… e ce ne andiamo.
[ Mentre ripone freneticamente nel borsone tutti gli oggetti che si trovano fuori dallo stesso, sbuffando e borbottando tra sé e sé ]
E sì.. eccome no… è scocciata… ha fame… sta stanca… Lei… mò.
[ Si alza, afferra il manubrio della carrozzina e sporgendosi volge lo sguardo al suo interno e si rivolge alla bambina ]
E, comunque, mi potevi pure fare un cenno, che io capivo.
Addirittura a telefonarmi… da qua a qua.
Cose da pazzi !
[ Avviandosi verso l’uscita di scena si rivolge ancora alla bambina imperiosamente ]
E non chiamarmi così pure tu… chiaro ?!
[ Guardando avanti a sé, con tono amaro ]
…che non stiamo a casa.
SPEGNIMENTO DELLE LUCI
SIPARIO
FINE
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