Di paure ne ho tante. Come tutti, del
resto.
Ma ce n’è una, in particolare, che mi
assilla da un po’ di tempo. È quella di perdere la memoria, di ritrovarmi i
ricordi di una vita irrimediabilmente resettati. E quindi di non poterli più
rievocare, così da rendersi vano tutto quanto vissuto, provato, percepito,
scritto, ascoltato, detto, pensato, espresso e così via nel corso di una intera
esistenza. La mia.
Immagino che se quanto pavento
accadesse davvero, evidentemente non me ne renderei nemmeno conto. Il “danno”
non costituirebbe, quindi, per me una gran sofferenza. A suo modo sarebbe una
sorta di rinascita, dal momento che, non ricordando nulla del mio passato, non
avvertirei nemmeno la necessità fisiologica di avvalermi delle pregresse
esperienze per andare avanti. Sarebbe come venire al mondo un’altra volta,
pronto a viverne esperienze inedita; seppure per un periodo ovviamente molto
più breve.
Sarebbe una esperienza a suo modo
persino divertente.
Tuttavia, quel furto di ricordi priverebbe
chi mi vivesse attorno di tutto un patrimonio di episodi, vicende, storie,
considerazioni, pensieri, cronache di scoramenti, sconfitte e trionfi, sogni, progetti
e quant’altro. Tutta roba che, come le rughe, ci ho messo una vita ad imprimere
sulla mia pelle di fuori e di dentro. E che sarebbe davvero una disdetta
andassero in fumo irrimediabilmente.
Certo, a chi legge potrebbe apparire piuttosto
presuntuoso ritenere da parte mia che il mio vissuto possa essere persino importanti
per gli altri. Ebbene, sì: ho questa presunzione.
Ed anche se avessi certezza che le
mie vicende lasciassero tutti, ma proprio tutti, indifferenti lo sforzo di
salvarle varrebbe comunque l’impresa di metterle nero su bianco.
Raccontandole alla stessa maniera di
come mi è capitato di fare durante certi dopo cena trascorsi a discorrere con
un bicchiere tra le mani. Ed affidandole, perché non se ne perda memoria, all’etere
dei social.
Magari su questo stesso blog. Senza con
ciò propormi alcun fine particolare, né pedagogico e nemmeno accademico; ma semplicemente
didascalico. Un po’ come si appuntano le annotazioni negli spazi bianchi a
fianco di un testo, per fissare pensieri e riflessioni.
Ecco, si tratta esattamente di
questo: ripassare a penna quelle annotazioni già vergate a matita sulle pagine del
libro della mia vita. Prima che sbiadiscano irrimediabilmente, rendendosi
illeggibili.
Chiamerò questa raccolta di ricordi
“Gli scaffali dell’Ippocampo”.
L'ippocampo è, difatti, un organello con
la curiosa forma di un cavalluccio marino situato nella profondità del cervello,
che svolge un ruolo fondamentale nel raccogliere e sistemare in memoria le
informazioni che ci giungono. L’archivio della nostra mente.
È dunque
lì, rovistando tra i suoi scaffali, che attingerò per recuperare i
ricordi di quanto mi è occorso durante la mia esistenza. Mi toccherà solo
soffiarci sopra per allontanare, da quelle storie, gli strati di polvere che vi
si sono accumulati sopra. Dopo di che, mi basterà allestire una confezione il
più possibile gradevole e depositarle qui, in questo blog, dove potranno essere
lette e criticate.
Mia
consueta, irrinunciabile, inevitabile, invincibile, incostanza permettendo.
Da
chiunque vorrà farlo. Io compreso.
----------
Nessun commento:
Posta un commento