14 febbraio, 2021

SE “RANDOMIZZATO” È UNA “MALA” PAROLA…

 


“Capitano, la cerca il capoufficio.”

Il latore dell’ambasciata non entrò nella mia stanza, limitandosi a restare sulla soglia.

Lo guardai torvo, senza nemmeno voltare il viso nella sua direzione. Risposi con un indisponente grugnito, che prima di raggiungere le sue orecchie fece in tempo a materializzarsi nell’aria in un rassegnato “Va bene”.

Cosa diavolo poteva volere da me “Platinette” a quell’ora? Nel dopopranzo era aduso sonnecchiare per una oretta, stravaccandosi sulla poltrona reclinabile da ufficiale superiore. A memoria d’uomo non era mai accaduto che convocasse chicchessia nel corso della controra estiva.

Quel frivolo pseudonimo con cui lo avevamo ribattezzato era il nome d’arte di una drag-queen che andava per la maggiore sulle reti televisive nazionali.  Il nostro capo ne aveva in comune la oscena pinguedine ed una certa somiglianza nel volto; ma non la argentea acconciatura cotonata. Né, tantomeno, la stessa intelligenza e cultura.

Non mi andava di sopportare la vista di quell’ippopotamo sbracato, con la sua maglietta verde muschio regolarmente chiazzata in corrispondenza delle ascelle di denso sudore putrido.

Decisi, pertanto, di telefonargli. “Eccomi.”

“Devi correre dal Chief of Staff. C’è qualche problema nel testo del rapporto che hai presentato stamattina.” Quindi riattaccò bruscamente, con il consueto garbo che doveva avere appreso nelle gabbie dei più scalcagnati circhi balcanici.

Un problema nel testo? Di cosa mai poteva trattarsi?

Prima di salire ai piani decisionali del Comando andai a rivedere la mia copia dell’elaborato.

Era perfetto: proprio non riuscivo a rintracciare nel suo interno alcun errore o una qualsivoglia omissione. Nulla di nulla: né di formale, né di sostanziale.

Mi infilai la giacca dell’uniforme e mi avviai.

“Sono stato convocato dal C.o.S.” annunciai all’anziano Ufficiale addetto che ne presidiava l’anticamera. Attendeva il mio arrivo; per cui annuì, con un’espressione talmente disgustata e riprovevole da mettermi a disagio.

Cosa mai avevo potuto combinare con quel mio rapporto?

In fin dei conti avevo semplicemente illustrato i criteri con cui effettuare le modalità di programmazione dei prelievi di urine atti a verificare che i militari non assumessero sostanze stupefacenti. Null’altro.

L’accensione di una lucina verde sulla porta sancì il mio ingresso nell’ufficio del sommo dirigente.

Restando seduto sulla sua poltrona imbottita, mi sorrise. Non con intenzione empatica, ma con compatimento e sufficienza. Come, in altri tempi, facevano le maestrine zitelle alle prese con il piccolo scavezzacollo che ne aveva escogitata un’altra delle sue.

“Cosa mi ha combinato, Capitano. Guardi qui; guardi cosa ha scritto.”

Mi passò il foglio su cui era stampato il mio rapporto. Era intonso, tranne in un punto in cui un cerchio vergato in inchiostro verde (essendo quello rosso riservato esclusivamente ai Generali comandanti) circondava una parola avviluppandosi nevroticamente in spire concentriche.

Quell’unico lemma così atrocemente posto in evidenza era il termine “randomizzato”.

“Ha visto?” riprese il mio censore “Ma come le è venuto in mente di utilizzare questa parola?”

Rilessi quanto avevo scritto, per trovare una qualsivoglia discrasia tanto grave da avere innescato quella reazione così riprovevole.

Non riuscii a trovare nulla di saliente: tutto era coerente con il contesto illustrato. Compresa quel termine in quel momento tanto stigmatizzato.

“Allora, mi fornisce una spiegazione…?”

Risposi con la massima calma di cui fossi capace. “Ho solo voluto rappresentare che, effettuando dei controlli casuali, scongiureremmo l’eventualità che chi ha qualcosa da nascondere possa alterare i test sostituendo le proprie urine con quelle di un commilitone. Tutto qui.”

Sbottò. “Ma chi se ne frega dello scopo. Si rende conto che non si possono utilizzare parole eccessivamente sofisticate? Poteva scrivere, che so, “prelievi a caso” o “casuali” o “senza preavviso”. Invece lei mi va ad usare una parola che nessuno è in grado di comprendere”.

“Ma per l’appunto” ribattetti “non sarebbe il caso di provare ad elevare il livello del nostro vocabolario?”

“Certo che lei non si lascia mai sfuggire occasione per ribadire di avere svolto studi umanistici. Ce la sbatte continuamente in faccia la sua Cultura. Si ricordi che mentre lei perdeva tempo a leggere libri, noi ci addestravamo salendo sulle funi a dieci metri d’altezza e ci lanciavamo di sotto sui teloni ad occhi aperti.”

“E proprio quello è il nocciolo del problema” pensai attonito senza profferire parola.

“Ora vada. E sostituisca quel termine con uno che possiamo capire tutti.”

Avevo quasi varcato l’uscita, quando mi urlò dietro “E un’ultima cosa: se randomizzato è una “mala” parola, è randomizzato lei e sua sorella. Ha capito?”

Mi allontanai velocemente. Non riuscivo a trattenermi.

Fu solo quando raggiunsi il corridoio del piano sottostante, che mi concessi il piacere di esplodere in una amara, fragorosa risata.

 

FINE

© LERARIO Cosimo, 2021

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