21 marzo, 2021

Tenendosi per mano

 



(Racconto scritto per la Associazione Sicuro e Felice ETS di Bari, attiva nella divulgazione dei temi attinenti alla sicurezza stradale).

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Fu lei a destarsi per prima.

Non schiuse subito gli occhi, perché prima di farlo inspirò profondamente per riempire le narici e farsi sopraffare dall’odore di erba umida che proveniva da tutt’intorno. Aprì, quindi, lentamente le palpebre e, restando distesa, girò il capo prima in una direzione e poi nell’altra a cercare il suo compagno. Vide che era steso a sua volta poco lontano, proprio dove il verde dell’erba si mischiava con il giallo degli steli di grano già alti e gravidi di chicchi. Si sollevò e lo raggiunse.

Indugiò un po’, prima di svegliarlo poggiando le labbra sulle sue. Prima ne scrutò il volto in tutti i suoi lineamenti. Addormentato con quella espressione serena era il ritratto della felicità; del che, d’altronde, ne aveva motivo. Così come, anche, lei.

Quella, per loro, era stata una giornata davvero straordinaria. Erano finalmente riusciti a ritagliarsi qualche ora tutta per loro. Avevano escogitato da tempo quella gita in campagna. E finalmente erano riusciti a realizzare il loro desiderio: restare soli, tranquilli, sereni. Ma soprattutto soli, lontano da tutto e da tutti. Come è giusto che facciano coloro che si amano.

Era, però, giunto il tempo di tornare a casa; che il sole di lì a poco sarebbe scomparso dietro gli ulivi. Tanto, di giornate così ce ne sarebbero state chissà quante altre. Tante. Tantissime. E mai troppe.

Sfiorò dunque con le labbra la bocca del suo innamorato. Questi aprì gli occhi, la vide e l’intero volto gli si illuminò. Sorrise come non gli riusciva più di fare da chissà quanto tempo. Si sollevò sui gomiti e porse il braccio alla ragazza, che lo aiutò a tirarsi su. Si baciarono come se fossero visti in quel preciso momento, invece che non avere fatto altro per tutto il pomeriggio.

Dandosi la mano si avviarono. Dovevano raggiungere la strada che costeggiava quel campo dove si erano abbandonati ognuno alla magia dell’altro. Lì, dietro un muretto a secco, avrebbero trovato il ciclomotore con cui erano arrivati e che li avrebbe riportati in paese.

Procedevano tra gli steli di grano quasi sfiorando la terra, non avendo nemmeno la sensazione di calpestarla. Mai, prima d’allora, si erano sentiti così tanto leggeri e sereni. Entrambi erano ormai consapevoli di essere l’uno il completamento dell’altra; e che questo sarebbe stato per sempre.

Camminavano in silenzio, scambiandosi frequenti sguardi furtivi; lanciati quasi con pudore. Non per un assurdo sentimento di vergogna, ma perché entrambi nutrivano il timore che una qualunque loro parola potesse infrangere e distruggere irreparabilmente quel fantastico momento di incanto.

Erano quasi arrivati al punto in cui avevano lasciato il motorino, quando si resero conto che sulla strada si era raccolta una piccola folla di persone. Ognuna sembrava intenta a fare qualcosa in maniera convulsa. Tutti sembravano piuttosto tesi e si muovevano nervosamente, rivolgendosi la parola a voce alta e concitata. Poco avanti una luce blu lampeggiava roteando e scagliando ritmicamente tutt’intorno il suo riflesso inquietante.

Evidentemente era accaduto qualcosa. Sicuramente c’era stato un incidente. Ed era successo proprio lì dove qualche ora prima i due ragazzi, scavalcata una staccionata di pietre, erano entrati nel campo in cui avevano dato vita al proprio sogno.

Arrivati al muretto a secco, lo superarono e si ritrovarono in strada. Nessuno dei presenti li degnò di uno sguardo, nessuno rivolse loro la parola. Tutti erano febbrilmente impegnati a fare qualcosa.

I due girarono il loro sguardo tutt’intorno alla ricerca del loro motorino. Sinché lo videro. Era letteralmente accartocciato contro un albero, al centro di una pozza di carburante che continuava a sgorgare dal serbatoio squarciato.

Poco oltre, nel piccolo fosso sul ciglio della carreggiata in cui si drena l’acqua piovana, due corpi. Inanimati. Senza più vita. Uno vicino l’altro.

Notarono che la mano di uno dei due stringeva quella dell’altro a suggello di un estremo momento di affetto. O di conforto. O di terrore. O di chissà cos’altro.

I due ragazzi si avvicinarono ancori più per scrutarne i volti. Si fermarono a guardarli.

E compresero.

Si guardarono attoniti, fissando l’uno lo sguardo negli occhi dell’altra. Senza pronunciare una parola, senza emettere un solo suono.

Distolsero lo sguardo da quei propri resti e raggiunsero il centro della strada, passando tra quelle persone che senza fermarsi un attimo continuavano a tracciare segni per terra, a stendere nastri metrici, a parlare nei loro telefonini.

Si fermarono. Smarriti.

Sul lato opposto della strada apparve ad un tratto scendere dall’alto un fascio di luce, bianca. Abbagliante. Al centro del quale comparve una specie di apertura. Era una sorta di porta spalancata. Oltre la quale si vedeva soltanto altra luce. Tanta luce.

Sapevano che avrebbero dovuto raggiungerla ed entrarvi.

Si guardarono. Si sorrisero. Si strinsero la mano.

E vi andarono incontro.

Assieme.

FINE



© LERARIO Cosimo, 2021

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