29 luglio, 2021

La straordinaria leggenda del medico che partorì sua figlia.


“Ma una notizia un po’ originale / Non ha bisogno di alcun giornale / Come una freccia dall’arco scocca / Vola veloce di bocca in bocca”  (Fabrizio De André, Bocca di Rosa, 1967)

Accadde parecchi anni fa. 

Ero in una farmacia di un paese in provincia di Bari. Attendevo in fila il mio turno. Mi precedeva una signora che non aveva nessuna fretta di terminare i suoi acquisti; e, anzi, indugiava piacevolmente (per lei !) nel chiacchierare con la dottoressa che, da dietro al bancone, mostrava di apprezzare a sua volta quel momento di sana rilassatezza. Non so nemmeno se, concentrate com’erano sugli argomenti di conversazione, si fossero accorte della mia presenza. Ma non avevo fretta, per cui restai ad ascoltarle incuriosito.

Erano tempi in cui, soprattutto nei centri più piccoli in cui tutti si conoscono, qualsivoglia passaggio in qualunque negozio o ufficio pubblico era occasione di ascoltare di tutto: dalle ricette gastronomiche ai racconti di episodi e cronache della vita della gente. Quelle che vengono, crudamente, chiamati pettegolezzi.

Erano tempi in cui non si circolava in mascherina, in tutta fretta e regolarmente distanziati.

Erano tempi in cui si aveva voglia di parlare.

Erano altri tempi.

La signora, che nel frattempo aveva posato sul pavimento le buste con la spesa, poggiò i gomiti sul bancone e guardando negli occhi la farmacista, chiese: “Volete sapere cosa è successo al Policlinico ?”

Non attendeva altro che ricevere dalla sua interlocutrice un cenno di assenso. E attaccò a raccontare.

“Questa è la storia del medico che partorì sua figlia. State a sentire.

Una mattina di un giorno di fine luglio, un medico accompagnò sua moglie in Clinica a partorire.

Quel dottore non lavorava in Ostetricia, ma poiché in quel Reparto era molto conosciuto, gli concessero di restare a fianco di sua moglie durante il travaglio. Anzi, gli chiesero proprio espressamente di farlo; che lui, in realtà, non è che ne avesse troppa intenzione.

Trascorsero molte ore dal loro arrivo. Per la gestante si trattava del primo parto; e, si sa, che di regola la prima volta i tempi di attesa sono molto lunghi.

Nonostante le stimolazioni… niente… il piccolo non si decideva proprio a venire al mondo. Non si poteva fare altro che attendere. E, così, tra un tracciato, una misurazione della dilatazione, una flebo, un massaggio sulla pancia se n’era andata l’intera giornata.

Era ormai sera. Mancavano pochi minuti alle 22, ora in cui sarebbe avvenuto il cambio del personale. Le infermiere e le ostetriche che erano lì dal pomeriggio, sarebbero presto state rimpiazzate da quelle del turno notturno.

Ad un certo punto, si udì un gran trambusto e delle voci concitate. Era necessario effettuare un parto cesareo in emergenza per una donna che stava per mettere al mondo quattro gemelli. Tutto il personale che stava avviandosi a smontare dal servizio venne dirottato in sala operatoria dove sarebbe stato rimpiazzato dal nuovo turno.

E, così, il medico e sua moglie restarono soli nella Sala Travaglio. Assieme ad una ragazzina di soli sedici anni, ovviamente incinta. Ebbene, il piccolo decise di venire al mondo proprio allora. La moglie del dottore lo chiamò accanto a sé e gli disse che sentiva qualcosa di strano premerle proprio lì, dalle parti del pube.  

Il medico sollevò il lenzuolo e diede una occhiata. Trasalì: un pezzo di testolina era già venuta fuori. E continuava a spingere in avanti.

Anche la ragazzina si sollevò dal proprio letto, richiamata dalla concitazione dei due coniugi. E quando vide quel che stava accadendo lanciò un urlo di raccapriccio, si strappò di dosso i cavetti che la collegavano al monitor del tracciato e scappò via di corsa.

Il medico iniziò a spingere il letto a rotelle con sopra distesa sua moglie nel tentativo di raggiungere la Sala Parto. Ma non fecero in tempo ad arrivarci. Già nel corridoio che separava le due camere, la bambina con un colpo di reni emerse sino alle spalle.

Al medico ormai padre non restò che fermarsi lì, disimpegnare il resto del corpicino e tirarla fuori completamente.

Urlò ad una ausiliaria intenta a lavare il pavimento alla estremità opposta del lungo corridoio di portargli qualcosa con cui tagliare il cordone ombelicale, che schiacciò inizialmente tra le dita prima di completare l’intervento nella vicina Sala Parto.

E così fu, che quel medico partorì la propria figlia. Questo raccontano. E questo vi sto raccontando.”

La donna si fermò. La farmacista la fissava a bocca aperta. Nella bottega calò una sorta di sospensione del tempo e dello spazio, che durò per un bel po’. Nessuna delle due si decideva a spiccicare parola.

Lo ruppi io, quel silenzio. E lo feci piuttosto bruscamente: “Ma no, signora. Cosa andate dicendo? Ma le pare che le cose possano essere andate proprio così ? Andiamo. Non è possibile che sia potuta succedere una cosa del genere. Chi gliel’ha raccontato l’ha voluta prendere in giro.”

La signora mi guardò più delusa che irritata dalla mia uscita inaspettata. Raccolse dal bancone i pacchettini dei farmaci che aveva ritirato. E mestamente, senza nemmeno salutare e senza voltarsi, uscì dalla farmacia.

Confesso che mi sentii un bel po’ in colpa per come l’avevo trattata e per come avevo demolito la sua narrazione. Non foss’altro, perché la storia che aveva raccontato non era affatto inventata.

Non ebbi, tuttavia, il coraggio di rincorrerla per rivelarle che era tutto vero. Perché io sapevo perfettamente che quella storia era accaduta realmente. Le cose erano andate esattamente come le aveva raccontate.

Ed io quel medico lo conoscevo. Fin troppo bene.

Ero io.

FINE

© LERARIO Cosimo, 2021


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