Non è semplice. Mai stato difficile come di questi tempi.
Per un medico, ormai, non è affatto facile
scrivere o anche solo parlare di Medicina.
Tanto per cominciare, la concorrenza
è spietata. I gruppi di mamme di pargoletti in età scolare sono autorevoli
Simposi di pediatria. Nerboruti adepti delle tribali serata rituali che si
celebrano sui periferici campi di calcetto discettano, negli umidi spogliatoi, di
Medicina dello Sport e Fisioterapia ad altissimi livelli. E ci voleva l’arrivo
della attuale pandemia a generare sui canali social lo sbocciare di insperati
virologi, epidemiologi, immunologi e manager della sanità tutti assolutamente
credibili; almeno sinché non aprono bocca.
D’altro canto, buona parte dei medici
“veri” (nel senso di regolarmente iscritti all’Ordine professionale) hanno
scoperto la erogena eccitazione che può essere fornita dall’accensione dei
riflettori di una qualunque telecamera. I loro più sopiti sensi si risvegliano
e li trasmutano in consumate soubrette
quando si tratta di “apparire” esponendo tesi, confutando quelle dei colleghi e,
soprattutto, fornendo rimedi risolutivi. Su tutto: dalla prevenzione del COVID
al trattamento del pacchetto emorroidario.
Non è affatto semplice, dicevo sopra.
Anzi, a queste condizioni scrivere o soltanto parlare di Medicina è probabilmente
del tutto inutile. Forse persino dannoso.
Di certo addizionare la propria voce
al coro dei latrati di cui sopra non è esercizio gradito per chi persevera nel
conferire alla professione sanitaria un seppur minimo credito di credibilità e dignità.
Come accade a me in particolare. Motivo per cui, almeno in pubblico, scrivo e
parlo preferibilmente di altri argomenti.
Poi arriva questa autorevole rivista
on line e la sua Direttrice, la cara Maria Giovanna, mi invita a deflettere
dalla mia ritrosia. Facendo leva più sulla mia innata propensione a comunicare
che sulla evocazione di un singulto di orgoglio professionale, ormai assopito
per effetto di eventi e persone.
Lo ha fatto rassicurandomi. E
sventolandomi davanti al naso quel certo vocabolo che orienta prerogative ed
intenti di questo consesso virtuale, sapendo che non avrei potuto resistervi: Filosofia.
Filosofia. Ovvero “amore per la
conoscenza”, nascendo il lemma dalla unione tra φιλεῖν [phileîn] (amare) e σοφία
[sophía] (sapienza). Lo sanno pressoché tutti i liceali; ma è per lo più
in età un po’ più avanzata che se ne apprezzano appieno forza
e importanza.
Medicina e Filosofia, dunque. Ma sono
categorie realmente compatibili tra loro; oppure messe insieme si
comporterebbero a similitudine di gocce d’olio versate nell’acqua?
La risposta è inequivocabilmente
affermativa: Arte di curare ed esercizio del Pensiero sono tutt’altro che disgiunte
tra loro. Anzi, distanti non lo sono mai state, già dall’alba dei Tempi.
Andare a scovare su un motore di
ricerca i nomi dei grandi pensatori che hanno commisto le loro speculazioni con
concetti attinenti la Medicina significa ritrovarsi di fronte ad un elenco di
dimensioni impressionanti.
A volere andare a memoria è facile
ricordare gente come Ippocrate, Galeno o più avanti nei secoli Paracelso; così,
giusto per fare i primi nomi che vengono in mente. Ma a ben rifletterci non si
può sottacere che anche Platone e Aristotele nelle loro mirabili opere
espressero il loro pensiero a riguardo. E, ancor prima che nel mondo ateniese,
già in quello sumero e, nemmeno a dirlo, in quello egizio la fisicità dei corpi
e la metafisicità delle idee avevano trovato opportuno compendio nelle medesime
espressioni intellettuali.
Nell’antichità
i rapporti tra Filosofia e Medicina erano dunque strettissimi, poiché l’una si
fondava sulle conoscenze dell’altra. E viceversa.
Per
diventare un buon medico era indispensabile sapere di Filosofia; così come era
prassi di ogni buon filosofo conoscere i principali dettami sanitari. Tutto ciò
per conseguire quella completezza di preparazione che poteva assicurare un’onesta
conduzione delle rispettive professioni.
Nonostante
queste splendide premesse, nel corso dei secoli Filosofia e Medicina come
imbarcazioni alla deriva si sono progressivamente disancorate l’una dall’altra,
cedendo alla tentazione di rendersi esclusive e settoriali. La prima tendendo a
configurarsi sempre più come scienza dello spirito, l’altra come scienza
peculiarmente organicistica.
Detto con
eccessivo semplicismo è accaduto che la Medicina, sempre più rigorosa ed
oggettivante, ha perso per strada la capacità di mantenere una visione globale
dell’essere umano. Allo stesso modo la Filosofia, spingendosi maggiormente
verso teorizzazione e astrazione, ha a sua volta smarrito il contatto con gli
aspetti più concreti dell’esistenza.
Quanto detto ricorre in modo particolare
da noi qui in Italia, prevalentemente per effetto di una nefasta separazione
tra Scienza ed Umanesimo vigente nel nostro sistema scolastico. In cui non mi
addentro per evidenti necessità di sintesi.
Meglio chiudere qui, difatti. Noi
Medici dai Filosofi abbiamo imparato soprattutto l’arte della temperanza e la
ricerca della giusta misura. Per cui anche articoli come questo che state
leggendo vanno assunti a dosi… controllate.
Ci sarà ancora tanto da illustrare
sull’argomento. Se ne potrà riparlare.
Magari qui.
FINE
© LERARIO Cosimo, 2021
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