25 novembre, 2020

25 novembre: Giornata contro la Violenza sulla Donna.









Presupposto iniziale: non amo affatto le Giornate dedicate.

Già compleanni e onomastici mi lasciano alquanto freddo, a cominciare dai miei; figuriamoci, poi, quelle date nel corso delle quali bisogna necessariamente ricordare qualcosa o commemorarne un’altra.

Ogni 2 novembre la massa contrita e dolente si affolla in coda agli ingressi dei cimiteri, perlopiù composta da personaggi più che altro preoccupati che si sappia in giro che hanno ottemperato al mesto dovere. Ma c’è anche chi invece ci va tutti i giorni; e, magari, evita di farlo proprio nella data tradizionalmente indicata, così attirandosi gli strali dei benpensanti d’accatto. Così come c’è anche chi non ci mette mai piede, conscio della assurdità di visitare un simulacro contenente un guscio corporeo inanimato; ma non manca di riservare quotidianamente il proprio pensiero ai propri cari scomparsi. Magari accendendo in casa un candela che ne perpetui la perduta luminosità terrena.

Ogni gennaio ci battiamo il petto per ricordare la ferocia dell’Olocausto, partecipiamo a quante più manifestazioni rievocative possiamo, ci attardiamo a guardare in tv tutto e di più sia prodotto a riguardo. Dopo di che, spente le luci, arrivederci all’anno venturo.

Ebbene, a mio parere, relegare ad una precisa giornata del calendario (il 25 novembre) il compito di rammentare alla coscienza quanto attiene alla violenza perpetrata nelle sue varie forme contro le Donne è ancor più che limitativo ed inutile: è un autentico vilipendio della memoria delle vittime.

Questo tema non può soggiacere alle limitazioni di essere un semplice appuntamento rituale, come la ricorrenza dei Defunti e tante altre simili. Né può limitarsi a fungere da mero promemoria di eventi passati, quale la rimembranza della Shoah, così come delle Foibe, come anche della strage (di operaie !) dell’8 marzo.

No. In questo caso non può andare così.

Perché la violenza di cui parliamo non è un evento da rievocare. Essa è, purtroppo, una condizione che ogni giorno viene messa in con inudita protervia. Non ci si deve limitare a considerare espressione della stessa la casistica penalmente più rilevante.

In termini più crudi, non ci si può indignare solo quando le cronache registrano un femminicidio o uno stupro. Perché questo genere di Violenza non è di quelle che si manifesta a poussée, a picchi di recrudescenza. Essa è piuttosto un continuum che scorre sotterraneo e misconosciuto, che si consuma più nelle famiglie che nelle strade, più tra i banchi di scuola che negli angiporti nebbiosi, più negli uffici che nei bar di periferia.

E se questo è vero, se mentre sto scrivendo queste righe in una abitazione a pochi passi potrebbe esserci un individuo che sta picchiando la propria compagna per gli spiccioli della spesa o un capofamiglia che ha deciso di imporre ad ogni costo il destino che ha scelto per la propria figlia, non sarà certamente il contrirsi addolorati nel corso di una Giornata ad esse dedicata a risolverne le esistenze.

Di qui, il mio personale approccio alla Giornata della Violenza sulla Donna: non la celebrerò. Perché l’ho fatto nel corso di tutti i trecentosessantacinque giorni di ciascun anno consumato nella mia intera esistenza. E così continuerò invece a fare, battendomi ancora al meglio delle mie possibilità.

Per carità, chi proprio vorrà farlo domani celebri la Giornata, rievochi le vittime, si spalmi una ditata di rossetto sulla guancia e vada in giro a manifestare tutta la propria condivisione del problema.

Importante è che non attenda che passi un altro anno per reiterarlo.

Importante è che dopodomani, al risveglio, non abbia già dimenticato.

FINE 

© LERARIO Cosimo, 2020

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