Gjakova (KOSOVO), dicembre 2006.
Alle strade extracittadine erano stati dati nomi di animali.
Non
tanto per ingentilire la situazione, quanto perché la autentica Babele delle
truppe che in quel momento stazionavano nella regione kosovara non avesse a
fare confusione quando venivano indicate nelle comunicazioni.
Difatti,
con i consueti sistemi radio lanciare un allarme per incidente stradale avvenuto
sulla A-12, poteva essere facilmente travisato in una segnalazione di incendio
scoppiato, chessò, sulla A-16. Il che accadeva più frequentemente di quanto si
immagini. Vuoi per la concitazione che spesso animava quel tipo di
conversazioni; ma soprattutto a causa di certe pronunce un po’ troppo “casalinghe”
dei comunicatori. Era, pertanto, assai probabile che le comunicazioni di un
graduato murgiano potessero essere facilmente travisate da un sottufficiale
sloveno. O quelle di un ricognitore austriaco dal turco che era di turno in
sala operativa. E via dicendo.
Era
naturale che accadesse. Ecco perché le sigle delle autostrade locali furono
opportunamente convertite in nomi di animali.
Ricordo
che c’era la Road chiamata PENGUIN. Poi anche la LION, la FOX; e, mi sembra,
anche la FROG. E così via.
Nominativi
rigorosamente in lingua inglese, perché la NATO così imponeva. Comunque, funzionali
allo scopo per cui erano stati escogitati.
Non
che questo abbattesse definitivamente eventuali fraintendimenti. Tutt’altro.
Ricordo
come fosse ieri una riunione in cui ci dovevano essere impartite precise
istruzioni proprio su come muoverci nella regione. Che all’epoca non era ancora
perfettamente sicura, soprattutto per quanto atteneva alla presenza di campi
minati non segnalati.
Non
potrò mai dimenticare quel che tirò fuori, in quella occasione, un commilitone
(italiano ? ebbene sì, purtroppo) appartenente ad una gloriosa compagine
militare nota per abnegazione, eroismo,
nonché per ispirare fecondamente gli autori di barzellette.
Quando
il chairman della riunione terminò la sua esposizione e chiese ai convenuti se
avessero domande da porre, quel prode collega alzò subito la mano e proruppe in:
“Quindi, quando percorriamo, Road DEER dobbiamo
fare attenzione a che i cervi non attraversino la strada… Giusto ?”
Nella
stanza calò una coltre di ghiaccio. Nessuno degli astanti osava rompere il
silenzio. Ci dovetti pensare io, non fosse altro per onore di bandiera.
Mi
rivolsi al genio che aveva prodotto cotanta osservazione tattica e gli dissi
soavemente: “Non preoccuparti… di questi
tempi sono praticamente in letargo.” Quindi, rincarai sadicamente la dose: “E visto che non c’è molto ghiaccio sulla
Penguin, non avrete nemmeno problemi di movimento a causa dei pinguini.”
Quella
mia risposta fu per lui così esauriente, che da qual momento tacque non
rinunciando a dispensare attorno a sé inebetiti sorrisetti di soddisfazione.
Mentre io continuavo a pormi diversi interrogativi sulla efficienza dei
meccanismi della selezione naturale.
Proprio
Road PENGUIN era quella da me maggiormente frequentata. In particolare perché
conduceva nella cittadina di Gjacova (o Dakovica, in serbo) dove era stato
allestito l’aeroporto di cui ci servivamo. E, in tutta franchezza, non avevo
mai incontrato sul suo tragitto né pinguini, né foche e nemmeno trichechi.
Era
un centro abbastanza vitale, assai popolato di giovani che si assiepavano per
le strade e che facevano capannello attorno ai nostri automezzi ogni qualvolta
ci fermavamo ad un semaforo. Nemmeno a dirlo, ci proponevano di tutto: dalle
stecche di sigarette macedoni alle tavolette di cioccolato Mozart (si proprio
quello in voga a Vienna), dai cellulari taroccati alle inevitabili compagnie
femminili.
Ma
un bel giorno, accadde che uno di loro emise un richiamo per noi assolutamente inaudito:
“Italiano, italiano… volere Hamburger Mc
Donald’s ?…Crispy McBacon… Big Mac… BigTasty… Vieni a Mc Drive, Mc Drive !”
Ed
iniziò ad agitarsi come un ossesso indicando con ampi gesti della mano la
direzione verso cui desiderava che ci dirigessimo.
Avevamo
un po’ di tempo disponibile; e, poi, la nostra curiosità circa cosa diavolo
volesse dirci era diventata davvero irrefrenabile. Per cui lo seguimmo, pur
consci della assurdità di quella indicazione.
Nemmeno
nella base statunitense di Bondstill avevano impiantato un Mc Mc Donald’s. Come
mai avrebbe potuto essere lì, al centro della regione più ancestralmente
arretrata dell’intero Kosovo ?
Dovevamo
vedere con i nostri occhi. Non potevamo fare altrimenti.
La
nostra improvvisata guida, che ci aveva preceduti in bicicletta, ad un certo
punto si fermò. Staccò i piedi dai pedali, divaricò le gambe ai lati della
canna per non perdere l’equilibrio e tese dinanzi ad esso il braccio con
l’indice puntato verso l’angolo di un incrocio.
Indicava
una baracchetta in legno appena più grande di una edicola per la vendita dei
giornali. Era di colore verde e con dei vetri imprevedibilmente tersi. Su uno
dei quali campeggiava la scritta in colore giallo “Hamburger. Hot Dogs.”.
In
basso, sulla porta, c’era la riproduzione perfetta del logo aziendale della
catena americana. Era perfetta.
Noi,
nell’auto, ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere. A crepapelle, come
non ci capitava da parecchio. Sicuramente mai, da quando avevamo messo piede in
Kosovo.
Il
ragazzo si voltò verso di noi e ci sorrise, certo che avrebbe comunque ricevuto
una lauta mancia per quel servizio. Non ci aveva mica truffato.
La
tipica M a cupoletta di Mc Donald’s, comunque, c’era.
FINE
© LERARIO Cosimo, 2020
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