16 marzo, 2020

ALTRO CHE A FORCELLA...

 
 

Gjakova (KOSOVO), dicembre 2006.

Alle strade extracittadine erano stati dati nomi di animali.

Non tanto per ingentilire la situazione, quanto perché la autentica Babele delle truppe che in quel momento stazionavano nella regione kosovara non avesse a fare confusione quando venivano indicate nelle comunicazioni.

Difatti, con i consueti sistemi radio lanciare un allarme per incidente stradale avvenuto sulla A-12, poteva essere facilmente travisato in una segnalazione di incendio scoppiato, chessò, sulla A-16. Il che accadeva più frequentemente di quanto si immagini. Vuoi per la concitazione che spesso animava quel tipo di conversazioni; ma soprattutto a causa di certe pronunce un po’ troppo “casalinghe” dei comunicatori. Era, pertanto, assai probabile che le comunicazioni di un graduato murgiano potessero essere facilmente travisate da un sottufficiale sloveno. O quelle di un ricognitore austriaco dal turco che era di turno in sala operativa. E via dicendo.

Era naturale che accadesse. Ecco perché le sigle delle autostrade locali furono opportunamente convertite in nomi di animali.

Ricordo che c’era la Road chiamata PENGUIN. Poi anche la LION, la FOX; e, mi sembra, anche la FROG. E così via.

Nominativi rigorosamente in lingua inglese, perché la NATO così imponeva. Comunque, funzionali allo scopo per cui erano stati escogitati.

Non che questo abbattesse definitivamente eventuali fraintendimenti. Tutt’altro.

Ricordo come fosse ieri una riunione in cui ci dovevano essere impartite precise istruzioni proprio su come muoverci nella regione. Che all’epoca non era ancora perfettamente sicura, soprattutto per quanto atteneva alla presenza di campi minati non segnalati.

Non potrò mai dimenticare quel che tirò fuori, in quella occasione, un commilitone (italiano ? ebbene sì, purtroppo) appartenente ad una gloriosa compagine militare  nota per abnegazione, eroismo, nonché per ispirare fecondamente gli autori di barzellette.

Quando il chairman della riunione terminò la sua esposizione e chiese ai convenuti se avessero domande da porre, quel prode collega alzò subito la mano e proruppe in: “Quindi, quando percorriamo, Road DEER dobbiamo fare attenzione a che i cervi non attraversino la strada… Giusto ?”

Nella stanza calò una coltre di ghiaccio. Nessuno degli astanti osava rompere il silenzio. Ci dovetti pensare io, non fosse altro per onore di bandiera.

Mi rivolsi al genio che aveva prodotto cotanta osservazione tattica e gli dissi soavemente: “Non preoccuparti… di questi tempi sono praticamente in letargo.” Quindi, rincarai sadicamente la dose: “E visto che non c’è molto ghiaccio sulla Penguin, non avrete nemmeno problemi di movimento a causa dei pinguini.”

Quella mia risposta fu per lui così esauriente, che da qual momento tacque non rinunciando a dispensare attorno a sé inebetiti sorrisetti di soddisfazione. Mentre io continuavo a pormi diversi interrogativi sulla efficienza dei meccanismi della selezione naturale.

Proprio Road PENGUIN era quella da me maggiormente frequentata. In particolare perché conduceva nella cittadina di Gjacova (o Dakovica, in serbo) dove era stato allestito l’aeroporto di cui ci servivamo. E, in tutta franchezza, non avevo mai incontrato sul suo tragitto né pinguini, né foche e nemmeno trichechi.

Era un centro abbastanza vitale, assai popolato di giovani che si assiepavano per le strade e che facevano capannello attorno ai nostri automezzi ogni qualvolta ci fermavamo ad un semaforo. Nemmeno a dirlo, ci proponevano di tutto: dalle stecche di sigarette macedoni alle tavolette di cioccolato Mozart (si proprio quello in voga a Vienna), dai cellulari taroccati alle inevitabili compagnie femminili.

Ma un bel giorno, accadde che uno di loro emise un richiamo per noi assolutamente inaudito: “Italiano, italiano… volere Hamburger Mc Donald’s ?…Crispy McBacon… Big Mac… BigTasty… Vieni a Mc Drive, Mc Drive !”

Ed iniziò ad agitarsi come un ossesso indicando con ampi gesti della mano la direzione verso cui desiderava che ci dirigessimo.

Avevamo un po’ di tempo disponibile; e, poi, la nostra curiosità circa cosa diavolo volesse dirci era diventata davvero irrefrenabile. Per cui lo seguimmo, pur consci della assurdità di quella indicazione.

Nemmeno nella base statunitense di Bondstill avevano impiantato un Mc Mc Donald’s. Come mai avrebbe potuto essere lì, al centro della regione più ancestralmente arretrata dell’intero Kosovo ?

Dovevamo vedere con i nostri occhi. Non potevamo fare altrimenti.

La nostra improvvisata guida, che ci aveva preceduti in bicicletta, ad un certo punto si fermò. Staccò i piedi dai pedali, divaricò le gambe ai lati della canna per non perdere l’equilibrio e tese dinanzi ad esso il braccio con l’indice puntato verso l’angolo di un incrocio.

Indicava una baracchetta in legno appena più grande di una edicola per la vendita dei giornali. Era di colore verde e con dei vetri imprevedibilmente tersi. Su uno dei quali campeggiava la scritta in colore giallo “Hamburger. Hot Dogs.”.

In basso, sulla porta, c’era la riproduzione perfetta del logo aziendale della catena americana. Era perfetta.

Noi, nell’auto, ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere. A crepapelle, come non ci capitava da parecchio. Sicuramente mai, da quando avevamo messo piede in Kosovo.

Il ragazzo si voltò verso di noi e ci sorrise, certo che avrebbe comunque ricevuto una lauta mancia per quel servizio. Non ci aveva mica truffato.

La tipica M a cupoletta di Mc Donald’s, comunque, c’era.

 

FINE

© LERARIO Cosimo, 2020

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