SCHEDA
Anno di produzione: 2022
Genere: drammatico - esoterico - storico.
Personaggi: narratore e orchestra.
Struttura: atto unico.
TRAMA
Nel corso di una visita turistica al campo di
prigionia di Terezin (Repubblica Ceca) un uomo incontra un piccolo violinista
con cui intesse una proficua conversazione.
Solo dopo averlo salutato,
comprenderà chi era in realtà il suo interlocutore.
RAPPRESENTAZIONI
*7 giugno 2022
Villa La Rocca, Bari.
A cura del Collegium Musicum Bari (Direzione Artistica: M° Rino MARRONE) nell’ambito del Concerto "Per non dimenticare".
Musiche composte dal M° Nicola SCARDICCHIO
Voce narrante: M^ Tiziana PORTOGHESE
Violino: M° Carmine SCARPATI
Clarinetto: M° Gianbattista CILIBERTI
Fisarmonica: M° Francesco PALAZZO
*28 gennaio 2024
Auditorium della Fondazione Vittorio Bari, Palo del Colle (BA).
Nell’ambito della rassegna “La Stagione Musicale 2023-2024”.
Musiche composte dal M° Nicola SCARDICCHIO.
Voce narrante: M^ Tiziana PORTOGHESE
Violino: M° Carmine SCARPATI
Clarinetto: M° Gianbattista CILIBERTI
Fisarmonica: M° Francesco PALAZZO
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TESTO
Narratore
Eravamo giunti a Terezin.
Il famigerato “Campo dei Bambini”.
La città fortificata dove furono trasferiti con la
forza tutti gli abitanti del quartiere ebraico di Praga: uomini, donne e tanti,
tantissimi bambini.
Tutti rigorosamente ebrei.
Ne furono ospitati più di centoquarantamila. E ne
rimase vivo uno su dieci.
Non ce la fecero soprattutto i bambini, schiantati
dalla fame e dalle malattie: morirono tutti.
Tutti.
Agli occhi della comunità
internazionale il governo tedesco presentava quel campo di deportazione come un
tranquillo villaggio residenziale.
In cui gli adulti avevano
tutti un lavoro, in cui i piccoli frequentavano regolarmente le scuole; ed in
cui, nel tempo libero, si poteva assistere ad incontri sportivi, concerti,
spettacoli, eventi letterari.
Tutte chiacchiere !
Era né più né meno che una truffa.
Un imbroglio da bottegai disonesti: come quelli che
espongono in vetrina la mercanzia migliore, per poi rifilare al cliente gli
scarti di magazzino.
Altro che i mercanti giudei.
Era tutto un teatrino. I
cui attori erano gli stessi internati, obbligati a interpretare la parte di
ospiti felici e sereni ogni volta che arrivavano le ispezioni della diplomazia
internazionale
Solo che, appena andati via
gli ispettori, per essi riprendeva la quotidiana esistenza fatta di stenti,
violenze e umiliazioni.
Sino alla messa in scena
successiva.
Sempre che nel frattempo.
non venissero portati via: ai campi di sterminio di Treblinka o Auschwitz.
Da cui non tornavano più.
Girammo a lungo nella Fortezza, sinché non ci fu
concessa la grazia di una pausa.
Fui felice di quella sospensione. Avevo davvero
necessità di starmene da solo. Ero stremato dall’afa e sfinito dalle emozioni.
Mi allontanai dal resto del gruppo di turisti,
raggiunsi lentamente la grande piazza centrale, individuai una panchina e mi ci
sistemai. Proprio di fronte all’edificio che all’epoca del Campo era utilizzato
come scuola.
Chiusi gli occhi, inspirai profondamente e mi
rilassai.
Dal terreno saliva, gradevole, un fragrante odore di
mughetto ed erba bagnata.
Ero sul punto di assopirmi.
Ad un certo punto, giunsero alle mie orecchie quelle
voci, la cui intensità andava aumentando gradualmente. Come se qualcuno girasse
lentamente la manopola del loro volume.
Erano grida spensierate di bambini. Per nulla
fastidiose; anzi, assolutamente confortanti in un posto dove la presenza della
Morte incombeva dovunque.
Dove tutto era intriso di dolore.
Dove i muri, la terra, gli alberi sembravano grondare
il sangue di cui erano stati impregnati al tempo della follia.
Ascoltare quelle grida giocose non poteva certo
infastidirmi. Assolutamente no!
Ad un certo punto, tra un lazzo ed una canzoncina, tra
un gridolino ed una risata, iniziarono a diffondersi nell’aria delle note
musicali.
Un po’ impacciate, insicure, non sempre limpide. Ma
armoniche e coerenti.
Qualcuno stava suonando un violino.
Aprii gli occhi. Ed incrociai il mio sguardo con il
suo.
Un ragazzino non più alto di un metro e trenta
centimetri al massimo.
I suoi capelli erano biondo scuro. O, meglio, biondo
sporco; dal momento che sicuramente da parecchio tempo non conoscevano il
conforto di uno shampoo.
Aveva una corporatura esile. Il volto era scavato e
pallido.
Le unghie delle mani apparivano orrendamente sporche.
Vestiva con una maglietta azzurrina a maniche corte,
sdrucita e costellata di decine di macchie di sporco, di tutti i colori e
le forme possibili.
Sul petto, all’altezza all’incirca del cuore,
penzolava scucito un frammento di stoffa di color giallo limone.
Probabilmente doveva essere quanto rimasto dello
stemma di un istituto scolastico; o di un gruppo sportivo o di chissà
cos’altro.
Indossava calzoni corti, a metà coscia. Come da noi
portano (anzi, portavano) i bambini più piccoli.
Notai che alla vita li teneva sollevati una cordicella
di canapa, invece che una cintura.
Le scarpe apparivano completamente usurate e
deformate, con entrambe le punte spalancate come le fauci di un coccodrillino
affamato. Anche in questo caso erano due cordini di filo a fungere da stringhe.
Il ragazzo smise di suonare e mi sorrise in maniera
così accattivante che, per quanto il tono del mio umore non fosse dei migliori,
mi rivolsi a lui con la massima cordialità di cui fossi capace:
“Buongiorno, giovane…”.
Gregor
“Buongiorno a lei, Signore.”
Narratore
Gli chiesi come si chiamasse.
Gregor
“Mi chiamo Gregor. Gregor Samsa”.
Narratore
“E dimmi…
Quanti anni hai?”
Gregor
Rispose con tono impettito
“Dieci anni e mezzo. Quasi undici.”
Narratore
“Sei grande, dunque… Sei di queste parti, di Terezin?”
Gregor
I suoi occhi furono velati da un’ombra di tristezza.
“No, Signore. Sono nato a Praga. Nel quartiere di Josefov. Però sono
qui da un anno, ormai.”
Narratore
“Ah, dunque ti sei trasferito. E ti trovi bene qui…?”
Gregor
“Si. Abbastanza.
Non è male vivere qui, perché passo più tempo
all’aperto di quando abitavo in città.
Beh, certo che un po’ mi manca il vecchio
quartiere...”
Narratore
Aveva iniziato ad incuriosirmi.
Per cui gli chiesi cosa gli mancasse maggiormente del
posto dove viveva prima.
Gregor
“Sa… cosa, Signore? Quello che mi manca di più è che ogni pomeriggio,
appena finito di studiare, uscivo di casa e mi facevo il giro delle botteghe
nella strada dove abitavo.
I negozianti erano tutti amici di mio padre… Era come
appartenere tutti alla stessa famiglia.
E alla fine del giro mi ritrovavo in tasca qualche
moneta o qualche dolcetto. Sempre.
Sa che anche qualcuno di loro è venuto qui? Non tutti
però”.
Narratore
“Ci vai a scuola?”
Gregor
“Certo che sì. E sono bravo, sa?
“Signore, sa che l’anno prossino anch’io scriverò
sulla rivista della scuola? Si chiama VEDÈM.
In realtà bisognerebbe avere già dodici anni per
entrare in redazione, ma il mio maestro ha detto che chiederà di fare una
eccezione per me… Capisce? Proprio per me. Perché sono bravo!”
Narratore
“Congratulazioni. E cosa pensi di pubblicare?”
Gregor
“Quello che mi chiederanno di scrivere… scriverò.
Arte, poesia, letteratura… quello che vogliono.
Ma se potrò scegliere chiederò di potere scrivere
articoli di critica musicale.”
Narratore
“Addirittura.
Gregor
“Certo. Perché la musica è la mia passione.
Non ha sentito prima come suonavo?
Narratore
“Eccome se ti ho sentito. Mi hai anche svegliato!”
Suggellai questa frase con una sonora risata.
“No…dai. Scherzo. Non mi hai disturbato. Non dormivo,
in realtà. Ti ho ascoltato con vero piacere.”
Gregor
Il ragazzo si inchinò come si usa fare davanti al
pubblico che applaude.
“Grazie, Signore.”
Narratore
“Prego.” , risposi ironico.
“Ascolta. Non è che hai anche tu un po’ di appetito?
Ho giusto qualcosa qui nello zaino. Dai, dividiamocela.”
Tirai fuori un paio di merendine e gliene porsi una.
L’addentò e la inghiottì così rapidamente, che non
potetti fare a meno di allungargli anche l’altra: quella che avevo tenuto per
me.
Gregor
Appena finito sollevò il violino, impugnò l’archetto
e, con aria da concertista navigato, disse con tono solenne:
“E adesso, per ringraziarla del cibo che gli ha
donato, il suo umile musico suonerà per lei.”
Narratore
“Ah sì? Beh, grazie mille…”
Gregor
“Prego, Signore. Sono bravissimo, cosa crede…
Sa che sono passato a suonare in terza posizione?”
Narratore
“Accidenti… nientemeno che in terza posizione”
risposi nuovamente ironico, dal momento che ignoravo
nella maniera più assoluta di cosa stesse parlando.
Gregor
“Sa che il Maestro Hans KRÁSA mi ha preso nella sua
orchestra? Ad ottobre suoneremo un’opera che si chiama BRUNDIBÁR.
E ci sarò anch’io. Non vedo l’ora...”.
Narratore
Rammentai che proprio quell’opera, BRUNDIBÁR, fu
suonata a Terezin nell’ottobre del 1944 in occasione di una ispezione della
Croce Rossa Internazionale.
Purtroppo, dopo aver terminato quella rappresentazione
tutti gli orchestrali (sia gli adulti che i ragazzi) furono trasferiti ad
Auschwitz. Da dove non tornarono più.
Nel frattempo che mi abbandonavo a quei pensieri,
Gregor con il suo violino era rimasto fisso a guardarmi. Era pronto a
cominciare; ma attendeva educatamente che io gli dessi il via.
Lo guardai, sorrisi e lo autorizzai a suonare.
“Attacca … coraggio”.
Gregor
“Le farò ascoltare una ballata. Sentirà che
bella…”
Narratore
“Bravo! Bravissimo!”
Lui rispose al mio applauso con un inchino.
E accadde che, proprio mentre piegava il busto in
avanti, un grosso frammento di legno si staccò dal violino.
Era un pezzo del “riccio”, la spirale posta alla
estremità del manico; che adagiato sul verde brillante del prato, sembrava una
grossa chiocciola marrone.
Gregor lo raccolse e iniziò a premerlo sul punto da
cui si era staccato, provando a fissarlo.
Niente: non si manteneva.
Le ali del suo naso iniziarono a sollevarsi
ritmicamente e gli angoli della bocca ad incurvarsi verso il basso: stava per
scoppiare a piangere.
Ma seppe trattenersi, ricacciando indietro le lacrime.
Gregor
Sollevò il capo da quello strumento ferito e mi fissò
con gli occhi lucidi, speranzoso che gli proponessi una soluzione.
“Era già successo” disse “Lo
avevo già riparato.
Vede? Avevo infilato un chiodino per tenere fermo il
pezzo. Ma ora non regge più…”
Narratore
“Stai calmo. Vediamo di cosa si tratta”, gli risposi nel modo più rassicurante di cui fossi capace.
Afferrai saldamente il manico del violino con una mano
e vi appoggiai il frammento divelto. Le superfici combaciavano perfettamente; e
questo già era positivo.
Il chiodino che Gregor aveva infilzato nel legno era
ancora al suo posto; ma evidentemente non era sufficiente. Ci voleva
qualcos’altro.
Mi venne un’idea. Mi sfilai l’orologio e staccai il
cinturino in cuoio dalla cassa. Dopo di che lo passai attorno al punto della
rottura e strinsi il tutto.
Reggeva. Anzi, reggeva proprio bene.
Gregor aveva seguito tutta l’operazione con gli occhi
sgranati e con l’espressione stupefatta di chi stesse osservando un mago
all’opera.
“Visto che riparazione?” dissi gonfiando il petto d’orgoglio.
E rincarai la dose
“Altro che maestro liutaio... Anzi, sai che ti
dico? Io quest’opera te la firmo pure”.
Tirai fuori la penna dal taschino e, sollevato il
cinturino, vergai sulla superficie interna del cuoio le mie iniziali: una “C”
ed una “L”.
Quindi restituì lo strumento al suo legittimo
proprietario, rassicurandolo: “Ora potrai suonare di nuovo”.
Gregor
Il ragazzo non cessava di fissarmi, con una
espressione di gratitudine che mai avevo visto nella mia vita.
Quindi, con voce tremula per la commozione, disse:
“Grazie. Grazie di cuore, Signore.
È di certo Lui che l’ha mandata ad aiutarmi”.
Narratore
“Chi… ? Lui ? Lui chi ?
Scusami,
ma non ti seguo… non capisco di cosa tu stia parlando…”.
Gregor
“Lei non è credente, Signore ?”.
Narratore
Replicai con un po’ di impaccio:
“Effettivamente non molto, ragazzo mio”.
Gregor
“Ah, ho capito…”
Rimase un po’ assorto a rimuginare chissà cosa, quindi
disse
“Mi scusi, Signore. Posso farle una domanda?”.
Narratore
“Certamente… falla pure”.
Gregor
“Lei la sera… prima di dormire… prega?”.
Narratore
“Assolutamente
no. Non succede mai”.
Gregor
“Ma proprio… mai mai?”.
Narratore
“Mai!”
Gregor
“Ho capito.”
E tornò a rimuginare in silenzio, guardando nel vuoto
e inseguendo chissà quali pensieri.
Narratore
Quel suo atteggiamento diventò per me addirittura
imbarazzante, al punto che mi sentii in dovere di abbozzare una mezza
giustificazione.
“In realtà, caro Gregor, se mai volessi farlo (e bada
bene che non ti sto dicendo che lo vorrei) non saprei nemmeno come fare… da
dove iniziare… Non conosco nessuna preghiera”.
Gregor
Sgranò gli occhi, come se fosse stato rinfrancato
dalla mia risposta.
“Ah, se è solo per quello… non c’è problema. Faccia
come faccio io”.
“Quando arriva il momento in cui intende pregare, lei
chiuda gli occhi e si metta a pensare a tutto quanto sia bello per lei."
“Perché la Bellezza è sacra.
Se lei pensa alla Bellezza, in quel momento sta
pensando a chi l’ha creata. Sta pensando a Lui.
È proprio semplice.
Ci pensi bene. Guardi questo spartito. Vede? Queste
sono le note.
Vede come sono fatte? Sono solo dei pallini con le
stanghette.
Delle macchioline di inchiostro messe una in fila
all’altra.
Poi arrivo io con il mio violino.
Le leggo, le suono e così quelle macchie di inchiostro
diventano Musica.
Diventano Arte.
Diventano Poesia.
Diventano Bellezza.
È come una Magia.
Anche per Lui funziona così.
Così fa Lui con i nostri pensieri. Li prende tutti, li
mette insieme e li trasforma”.
Quindi, ridendo di gusto aggiunse
“Visto come è semplice? Ed è pure conveniente, non costa nessuna fatica: fa
tutto Lui.
A noi tocca solo portare le note. Lui compone la
musica.
E la suona pure”.
Narratore
Non so per quanto tempo rimasi a bocca aperta a
guardarlo. Stupefatto.
Quella mezza cartuccia di uomo era persino più basso
dello schienale della panchina dove stavo seduto; ma in quel momento aveva la
statura di un grande Maestro.
Continuai a guardarlo attonito non so per quanto
tempo, sinché fu lui a rompere il silenzio.
Gregor
Sorrise, mi fissò a sua volta compiaciuto; quindi mi
disse:
“Grazie, Signore. Grazie davvero di tutto.
È stato bello restare qui a parlare con lei. Ora però
devo andare.
Ho le prove in orchestra tra dieci minuti. Corro.”
Narratore
“Grazie a te. Magari ci rivediamo più tardi. Se quando avrai finito
sarò ancora da queste parti ci salutiamo. Ti va ?”
Gregor
“Si certo. Magari.”
E aggiunse con aria triste.
” Chissà…”.
Narratore
Sempre impugnando il violino con una mano e l’archetto
nell’altra guizzò rapidamente attorno alla panchina su cui ero seduto,
passandomi alle spalle.
Mi alzai e mi voltai per potergli rivolgere un altro
saluto; ma già non c’era più.
Certo che ne aveva di fretta. Probabilmente tra
chiacchiere, merenda, suonatina e riparazione del violino gli avevo fatto
accumulare un bel po’ di ritardo.
Ora che avevo voltato lo sguardo indietro, notai che
l’intera piazza era completamente deserta.
I bambini, di cui avevo udito alle mie spalle le voci,
non c’erano più. Non c’era più nessuno.
Tutto era ripiombato nello stesso silenzio cimiteriale
di quando mi ero fermato su quella panchina.
Persino i corvi restavano appollaiati sui rami senza
gracchiare. Immobili, in assoluto silenzio.
La pausa era ormai terminata.
L’ultima tappa del giro era anche la più atroce: il
Museo in cui erano esposti gli oggetti personali appartenuti ai bambini.
Vestiti, occhiali, matite, penne, quaderni, oggetti di
cancelleria, disegni, pagelle scolastiche, bambole, giocattoli... di tutto.
Mi fermai davanti ad una teca, in cui c’erano alcuni
strumenti musicali: un flauto, un paio di armoniche a bocca, qualche plettro,
un violino.
Quest’ultimo, in particolare, non appariva messo molto
bene.
Il legno era ormai totalmente deformato e scheggiato
in numerosi punti.
Un lato del riccio era attraversato da una larga
fenditura. Profonda al punto da consentire di intravedere gran parte dello
spessore al suo interno. Assomigliava ad una ferita sanguinante aperta su un lembo
di pelle bruciata.
Quella spaccatura era avvolta alla bell’e meglio da un
nastro, che ne accostava i margini come fosse una fasciatura.
Per scrutare meglio mi avvicinai ancor più alla teca.
Guardai attentamente. Quella fascettina sembrava
essere fatta di cuoio.
Lungo la sua lunghezza si intravedeva una fila di
forellini distanti qualche millimetro l’uno dall’altro. Non c’erano dubbi: si
trattava di un cinturino da orologio, ormai abbrunito dal tempo.
In un punto appariva sollevato lasciando intravedere
al di sotto un’area più chiara, al centro della quale spiccava una macchia
bluastra.
Misi a fuoco lo sguardo su di essa e potei distinguere
che, in effetti, era formata a sua volta da due macchioline più piccole.
Avevano la forma di due lettere. Ma sì… erano davvero
due lettere, una affiancata all’altra: una “C” ed una “L”. Riconobbi la mia
grafia.
Trasalii, facendo un balzo all’indietro e iniziai ad
essere percorso da brividi squassanti.
Soffocai a malapena un grido portandomi una mano a
coprire la bocca.
Mi si bloccò il respiro.
Qualcosa mi risalì dalle viscere e si andò a fermare
centro del petto.
E fu solo allora che permisi alle lacrime di inondarmi
il volto.
FINE
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